"In viaggio con Gianni, Celati", dettaglio di copertina (48 pp.,Tic edizioni)

Diario di viaggio

Paolo Morelli e Gianni Celati, due caratteri difficili e un litigio per Woody Allen

Sandra Petrignani

Onore all'autore, che rispolvera un vecchio diario risalente a una gita di vent'anni fa e ne tira fuori un racconto da leggere fino alla fine

Ammetto di essermi messa a leggere “In viaggio con Gianni, Celati” di Paolo Morelli (Tic edizioni) attratta dall’argomento. Anche dal fatto che l’autore fosse quel matto di Morelli, certo, che non sai mai dove ti porta quando leggi un suo libro, ma questo come motivo numero 2. Poi, come motivo numero 3, c’è anche il fatto che lo smilzo volumetto – 52 pagine – ha la copertina firmata da Enrico Pantani: un disegno colorato ma non a fuoco, come emergesse da una nebbia non abbastanza fitta da cancellare i colori, e poi i personaggi ritratti, due uomini, sono visti di spalle e l’immagine suggerisce che stanno camminando insieme ma a distanza, uno piuttosto avanti quasi di corsa e l’altro dietro a passo lento. Leggendo si scopre che sono loro due: Celati “che ha uno stile da marciatore, alla Pamich” e Morelli cui piace, camminando, guardarsi intorno, farsi penetrare dal paesaggio, riflettere. Ahi, ahi. Le cose si mettono subito male. Due caratteri difficili, e con abitudini diverse. E anche se Morelli era partito per il viaggio, su richiesta di Celati, disposto a fargli da Sancho Panza, Celati non glielo permette, si sfastidia subito, lo provoca e lo rintuzza.

 

Ma insomma il mio motivo numero 1 era il nome di Celati, perché ho paura di informarmi e speravo che il libro di Morelli raccontasse qualcosa di ciò che vorrei sapere: che cosa gli è successo? Che fine ha fatto che nessuno ne parla e non si mostra in giro? Vive in Inghilterra da molti anni, d’accordo, ma questo non spiega la sparizione. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato per la proiezione di un suo documentario, “Passar la vita a Diol Kadd”. Vita, diari e riprese di un viaggio in Senegal sul villaggio natale di Mandiaye N’Diaye, un attore del Teatro delle Albe. Era il 2010. È di tre anni dopo l’uscita del lungo lavoro di traduzione dell’“Ulisse” di Joyce per Einaudi, mentre quella di “Al limite estremo” di Conrad per Quodlibet è del 2017. Una malattia l’ha colpito là dove si formano le parole, mi dicono ora gli amici. E dunque non leggeremo più niente di nuovo di Gianni Celati. Però esiste un volume dei Meridiani (2017), “Romanzi, cronache e racconti”, a cura di Marco Belpoliti e Nunzia Palmieri, a tenere viva un’opera fra le più originali della narrativa dei nostri giorni. Oltretutto Celati è stato per tanti di noi un vero Maestro. Ed è una cosa assurda che uno scrittore, siccome non partecipa alla giostra quotidiana della presenza fisica nelle piazze, nei festival, nei media, debba uscire dal ricordo.

 

E dunque onore a Morelli che tira fuori un vecchio diario di un viaggio di vent’anni fa, quando lui era sui cinquanta e Celati, nato nel 1937, oltre i sessanta, anche se – come piace a lui, lui Morelli – è inevitabilmente un diario “fallimentare”, nel senso che non mantiene le promesse del titolo e va da un’altra parte. Racconta fra l’altro un litigio dovuto, parrebbe, al cattivo carattere di Celati, un famosissimo cattivo carattere. Ma Morelli, così a occhio, non deve avere nemmeno lui un carattere facilissimo. E dunque: stanno parlando di cinema seduti in una qualche trattoria. E accidenti, a uno (Gianni) piace Woody Allen, e all’altro (Paolo) Woody non piace più. La discussione s’incattivisce. Celati pensa che Morelli non capisce niente di cinema, di yiddish e via dicendo, gli tira addosso il tovagliolo, urla e inveisce. Il viaggio insieme finisce lì (poi hanno fatto pace, mi dice Morelli).  E comunque da quel vecchio diario è venuto fuori un racconto molto bello, che procede – anche dopo il litigio – per località parzialmente attraenti, e senza Celati. Ma che vale la pena di leggere tutto quanto.    
 

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