È volgare la religione che non s'interroga più sul senso del pregare

Alfonso Berardinelli

Per esprimere il sentimento religioso bisogna rivolgere il pensiero a Dio senza chiedere nulla, ma fissando su di esso l'attenzione. Ed è da qui che si arriva alla questione: cosa pensa una mente che pensa Dio? Un libro

Che cosa significa pregare e perché le donne pregano? Il pregare è uno degli atti che meglio caratterizzano il sentimento, il bisogno, l’impulso religioso. Eppure la riflessione sul suo significato è scarsa o assente. Nella sua più comune, superficiale e quasi sempre equivoca accezione, pregare è chiedere qualcosa a Dio, alla Madonna o al proprio santo preferito. L’immaginario che perciò presiede a un tale atto è fondato sul desiderio di chi prega e sull’enorme potere di entità soprannaturali che ci ascoltano e benevolmente ci aiuteranno a ottenere miracolosamente proprio quello che vogliamo, o a evitare che accada tutto ciò che ci spaventa. Il modo di pregare, il suo contenuto e il suo scopo presuppongono quindi un’idea del divino e del soprannaturale: definiscono cioè la nostra religiosità. Ma chi sbaglia nel suo modo di pregare “offende Dio” e degrada la propria fede. 


Uso due nomi come “Dio” e “fede” con incertezza e solo nel loro uso comune, del quale credo lecito diffidare. In nome della fede in Dio si sono compiuti infatti tali abusi e crimini che non rendono immotivato il sospetto che qualcosa di diabolico ne abbia una certa parte. Tutto il problema delle religioni, di chi le promuove, come di chi le rifiuta, è nell’idea che si ha di Dio e della fede: più precisamente è nella capacità che ogni cultura e ogni singolo hanno di liberare tali idee da superstizioni, fanatismi, infatuazioni, illusioni, spirito di competizione e di antagonismo. Chiunque preghi, definisce se stesso e la propria fede religiosa attraverso la qualità, le forme e gli scopi della sua preghiera. 


Aiuta a riflettere su questo e altro il libro Preghiera di donne, a cura di Isabella Adinolfi e Giancarlo Gaeta, in cui si leggono saggi di Maria Concetta Sala su Cristina Campo e Chandra Livia Candiani, di Paolo Bettiolo su Caterina Pozzi, Anna Foa su Etty Hillesum, Laura Boella su Edith Stein, la stessa Adinolfi su Simone Weil, Lucetta Scaraffia su Ivan Illich e Adrienne von Speyr, Giancarlo Gaeta su Serena Nono. Pur avendo qualche dubbio sulla mescolanza di esperienze di preghiera così difformi e distanti, il libro aiuta anche, proprio per questo, a capire che quando si parla di preghiera le prospettive e le insidie possono essere assai varie. 


Il punto comunque è uno solo: rivolgere il pensiero a Dio. Facile a dirsi. Ma che significa? C’è chi chiede favori (è la cosa peggiore), chi chiede aiuto e conforto (ma è sempre un chiedere), e chi invece non chiede niente perché sente che la cosa giusta è semplicemente fissare l’attenzione su Dio. Ma è così che si arriva al vero problema: che cosa pensa una mente che pensa Dio? Immagina forse un venerando vecchio solenne, potente, canuto e barbuto in trono, fra le nuvole, che con un minimo gesto della mano fa accadere cose che altrimenti non sarebbero accadute, ma solo perché la nostra preghiera lo ha convinto? Non può certo essere questa pittoresca e tanto spesso dipinta entità quella che chiamiamo Dio. Dentro o dietro quel nome si cela tutto ciò che il mondo non è? Che cosa dunque se non il vuoto, l’inconcepibile, il non pensabile? Questo Dio non è in nessun luogo, fuori del tempo, e la nostra povera mente dovrebbe superare i propri limiti umani per rivolgersi a lui e pregare.

 

Nel libro Preghiera di donne si parla spesso di precondizioni al pregare, anzitutto il silenzio e la solitudine. Ma il silenzio mentale è esattamente ciò che la nostra mente comunemente e normalmente non riesce a realizzare. Come raggiungerlo? C’è un modo? Non è questa la prima cosa di cui parlare? Dio non è nessuna cosa percepibile e pensabile? Oppure è dovunque, in ogni luogo e tempo, in ogni realtà sensibile, in ogni pietra, nuvola, pianta, animale e essere umano, oggetto naturale o manufatto? Ma questo è panteismo o animismo. C’è posto per questo Dio nel cristianesimo e nelle altre religioni monoteiste? Le Chiese accettano il Dio come nulla e il Dio come presenza in ogni cosa? Isabella Adinolfi offre nel suo saggio su “Simone Weil: la preghiera come attenzione pura” gli argomenti essenziali per non fraintendere l’idea di preghiera: “Dalla lettura che diamo della realtà dipende il nostro rapporto con Dio e quindi il nostro atteggiamento nella preghiera”. In questa semplice frase mi pare che non venga detto quasi niente eppure non manchi niente. E’ quindi proprio da una tale affermazione che si dovrebbe sempre partire. Come ha scritto un grande mistico induista di fine Ottocento, “chi vuole amare Dio deve fare un fascio di tutti i desideri, lasciarli fuori dalla porta e poi entrare”. Quella di chi prega per ottenere la realizzazione dei propri desideri, quali che siano, “è una religione bassa, volgare, da accattoni”.

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