Nell'arte americana non c'è più spazio per i bianchi

Giulio Meotti

“Oggi i musei sono tutti woke e si rifiutano di esporre Francis Bacon”. La celebre coppia di artisti inglesi Gilbert e George. "Tutta l'arte deve essere nera, femminile etc..."

Sono i due ragazzacci in grigio dell’arte contemporanea. Sono sessant’anni che Gilbert e George non perdono occasione per posare in pubblico come “sculture viventi”, puntigliosamente speculari: parlano in antifona (l’uno comincia una frase, l’altro la termina), indossano gli stessi completi di tweed, esprimono le medesime opinioni.

Il duo artistico al Financial Times ora denuncia che i musei sono diventati troppo concentrati sulla presentazione delle opere d’arte di artisti neri per esporre la loro di arte. La Tate Modern eviterebbe anche i quadri di Francis Bacon. Sul perché essere woke escluderebbe il lavoro di artisti come loro, Gilbert e George hanno aggiunto: “Perché al momento è tutta arte nera, tutta arte femminile. Vai a dare un’occhiata alla Tate, non hanno un Francis Bacon. Tutti i musei ormai sono woke”. 

 

“Liberals are killing art”, aveva scandito sul New Republic la storica rivista liberal, Jed Pearl, principe della critica d’arte, il quale ha scritto che “sempre più liberal trovano nelle emozioni scatenate dalle arti una sorta di imbarazzo”. E l’ex direttore della National Portrait Gallery, Sir Roy Strong, ha accusato gallerie e musei d’arte di essere prevedibili per non scontentare nessuno. “Sono ossessionati dalla correttezza politica”. Il Rijksmuseum, il più celebre museo d’Olanda, ha fatto un repulisti delle descrizioni e dei titoli relativi a 220 mila dipinti e sculture sul milione di opere d’arte presenti. L’obiettivo è cancellare ogni riferimento che possa risultare offensivo per le minoranze, etniche ma non solo.

Il museo archeologico dell’Università di Cambridge ha appena deciso di denunciare la “bianchezza” delle proprie sculture come parte della “nuova strategia antirazzista” della facoltà di Lettere.

 

La Tate Gallery è un caso da manuale per vedere cosa accade a un museo che si ossessiona troppo. Jess de Wahls, un’artista nata della Ddr e il cui lavoro era in vendita alla Royal Academy, si è vista rimuovere i suoi quadri perché alcune opinioni che aveva espresso sui social media erano considerate “transfobiche”. Un’istituzione che aveva iniziato con due membri donne, aspettando più di cento anni prima di eleggerne altre, si è dunque lanciata nelle guerre di genere contro una delle proprie artiste. La stessa accademia che non aveva avuto difficoltà ad accogliere l’arte del grande Eric Gill, che violentava le figlie, è stata lestissima a bandire Jess de Wahls perché sui social aveva detto che donne si nasce.

La Tate avrebbe dovuto allestire una retrospettiva del grande artista americano Philip Guston, il cui lavoro non perdeva occasione per dare un pugno all’estrema destra. Nella sua arte Guston aveva talvolta fatto un uso sarcastico del costume del Ku Klux Klan per illustrare le sue paure. Ma all’improvviso la Tate annunciò che la mostra non si sarebbe fatta. Il curatore, costernato, è andato su Instagram per lamentarsi della decisione. E’ stato sospeso dal lavoro. Sei mesi dopo lasciò del tutto la Tate. E come dimenticare che la Tate Gallery di Londra vietò l’opera di John Latham che mostrava una copia del Corano dentro una lastra di vetro? 

Forse è il caso che Gilbert e George organizzino la loro prossima composizione fotografica davanti alla Tate. Rigorosamente in bianco e nero, giusto per dare sui nervi ai fanatici della razza.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.