Ma tu guarda se il green pass ci doveva fare ragionare su che cos'è un museo

La diatriba (soft) napoletana e quella internazionale

Enrico Cicchetti

Il presidente della Cappella Sansevero, il museo più visitato di Napoli, si dimette in polemica con il certificato verde (ma con garbo). I complottisti à la Fusaro ne fanno subito un simbolo. Ma la sua decisione aiuta a riflettere su un tema più profondo e su una domanda ancora aperta

È un fiore all'occhiello di Napoli e un esempio virtuoso di gestione museale privata, dove s'intrecciano creatività barocca e mistero. Qui l'estro del suo ideatore, cui era “impossibile restringersi nell'occupazione di un solo oggetto”, raccolse capolavori come il celebre “Cristo velato” e il “Disinganno” e le enigmatiche presenze delle “Macchine anatomiche”. Il poliedrico Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, a metà del Settecento riorganizzò e abbellì il mausoleo di famiglia, che oggi è il Museo Cappella Sansevero, il più visitato della città, con oltre 750mila ingressi nel solo 2019.

 

Pochi giorni fa però il suo presidente e direttore, Fabrizio Masucci, poco più che quarantenne e discendente diretto del “Principe”, ha rassegnato le dimissioni dalla carica che ricopriva da più di dieci anni. A Masucci, che resterà all’interno del consiglio di amministrazione a titolo gratuito, succede la sorella Maria Alessandra.

La lettera con la quale l'ex direttore ha comunicato il suo “passo di lato” non lascia spazio a interpretazioni: la sua è una polemica contro la decisione del governo Draghi di rendere obbligatorio il green pass per potere accedere ai musei che – spiega con la sua penna garbata Masucci – non devono essere “usati come strumento per ottenere qualsivoglia scopo estraneo alle loro naturali finalità, specie quando tale strumentalizzazione contribuisca inevitabilmente a compromettere, invece che favorire, la coesione sociale, in aperto contrasto con una delle più intrinseche missioni di un museo”. E ancora, “i musei sono per loro vocazione luoghi di inclusione e l’accesso paritario all’arte e alla cultura, diritto di tutti, dovrebbe essere sacrificato solo all’esito di ogni sforzo possibile volto a evitare una simile ferita”.

   

Una scelta è un libero atto di volontà personale e va pure sempre rispettata, tanto più che argomentata con educazione e senza strepiti. Ma l'essersi schierato, di fatto, contro la certificazione sanitaria ha reso Masucci un idolo per molte voci ben più bercianti. Che, loro sì, lo hanno subito “strumentalizzato”, inserendolo in quel complicato pantheon di pseudo-libertari che va dagli antivaccinisti ai complottisiti del la "dittatura sanitaria". Il turbo-filosofo Diego Fusaro, per esempio, che lo descrive come un moderno Socrate, un eroe che “ci ricorda che anche nel peggior regime si può essere liberi se al regime ci si oppone e si rimane fedeli a stessi”.
    
Chissà se i complottisti lo sanno che il nobile erudito Raimondo, "padre" del museo, divenne gran maestro della Massoneria napoletana, suscitando un "intrigo" che parve "il maggior del mondo". Al di là delle capriole logiche di alcuni suoi difensori, sono proprio le parole di Masucci a stimolare la domanda forse più interessante dell'intera vicenda: un museo è un “luogo d'inclusione e accesso paritario”? Qual è la sua “missione intrinseca” e chi la decide? La risposta è ancora aperta. Si tratta di un dibattito che dal 2016 impegna esperti di museologia e dirigenti dei musei di tutto il mondo. Quell'anno l'Icom, il Consiglio internazionale dei musei, decise che la definizione ufficiale di “museo” andava riscritta, visto che era rimasta pressoché identica dagli anni Settanta. Allora, e ancora oggi, in effetti, la definizione era:
   

"Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto."

  

Nel 2019 l’Icom propose una definizione aggiornata, che è più corposa ma che soprattutto contiene anche una interpretazione “politica”. Si fa riferimento, per esempio, a obiettivi come “dignità umana e giustizia sociale, uguaglianza globale e benessere planetario” omettendo invece valori come “l'educazione”. Nella conferenza che si tenne a Kyoto tre anni fa, i delegati dei musei hanno deciso di rinviare il voto sulla definizione proposta dopo un lungo e acceso dibattito, che divise la comunità museale globale. Come è facile immaginare, si tratta di una guerra tutt'altro che sanguinosa: le diverse posizioni sono espresse in educati scambi di corrispondenza tra esperti di settore. Ma intanto ha portato alle dimissioni di nove membri del cda e dei comitati esecutivi dell'ente. il disaccordo è simbolo di una più ampia spaccatura tra l'ala “conservatrice” dell'Icom – guidata principalmente da membri "francesi e francofoni", influenti perché la commissione ha sede in Francia e riceve entrate significative da fonti francesi – e quella “riformatrice”. L'una sembra essere contenta della definizione esistente e non vuole alcun cambiamento; l'altra desidera una definizione che riconosca i ruoli sociali che i musei si trovano sempre più a rivestire. E ora bisognerà aspettare la prossima conferenza generale, che si terrà a Praga nel settembre 2022, per vedere se la nuova definizione avrà i voti sufficienti. E, in caso, chissà che quella formula un po' naif che parla di "benessere planetario" possa aiutare a mettere ancora più in rilievo il fatto che mostrare un certificato sanitario durante la più grande pandemia degli ultimi decenni, in fondo, non è discriminazione ma autoconservazione.

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti