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L'alternativa cristiana alla polarizzazione politica americana

Primo obiettivo: abbandonare la fedeltà cieca a un partito

Daniel K. Williams

È possibile trovare una piattaforma politica che consenta di essere contro l’aborto e aiutare i poveri. Un libro

Quale può essere il rimedio alla partigianeria che divide oggi il corpo di Cristo? Come superare la polarizzazione tra due gruppi di credenti, ognuno dei quali ha paura dell’altro e crede di stare perdendo la battaglia politica e culturale? Non si tratta di cambiare un’agenda politica per un’altra, come se i bianchi evangelici potessero redimersi dalla loro storia di sostegno al Partito repubblicano convertendosi al Partito democratico. E non si tratta neanche di disertare la chiesa evangelica accusandola di essersi venduta al Grand Old Party, o di decidere, in preda alla frustrazione, di abbandonare la politica. Non è una soluzione nemmeno dire che Gesù non era né repubblicano né democratico, anche se ciò è vero. Queste semplicistiche affermazioni non rendono conto delle ragioni per le quali i cristiani hanno fatto determinate scelte politiche nel corso della storia, e avranno ben poco effetto su coloro che vedono la propria teologia riflessa nel programma del partito per il quale parteggiano. […]

   

Attuare un’etica non partigiana in un ambiente politico polarizzato è una sfida ardua. E’ possibile trovare una piattaforma politica che ci consenta, al tempo stesso, di proteggere la vita dei bambini non nati, promuovere il piano di Dio per la famiglia, perseguire la riconciliazione razziale e aiutare i poveri? Io penso di sì. La soluzione, credo, sta nel riconoscere, da un lato, i limiti delle leggi e dell’intervento dello stato rispetto all’obiettivo di ridurre il male in un mondo segnato dal peccato originale e, dall’altro, il potere insito nel sacrificare il proprio interesse economico a vantaggio dei poveri per realizzare alcuni degli obiettivi condivisi anche dai cristiani conservatori, compreso affermare la santità del matrimonio e difendere la vita dei non nati dall’aborto. […]

  
Se iniziamo a pensare al bene dei poveri affrontando i problemi strutturali della povertà, otterremo molto di più per la causa di una giustizia sociale informata al regno di Dio di quanto potremmo fare attraverso divieti legali e morali. Ma per fare ciò dovremo compiere scelte difficili se siamo cristiani bianchi della classe media. Dovremo rinunciare alla ricerca del potere e a strategie politiche perseguite per decenni per abbracciare la “politica della croce” – un approccio che ci chiederà di seguire Gesù nel sacrificare i nostri interessi a vantaggio di quelli degli altri e di fare nostra la causa degli emarginati piuttosto che dettare loro norme di comportamento. […]

  

Qual è il senso dell’impegno politico per un cristiano? Preservare la nazione dall’immoralità? Difendere la libertà religiosa? Conformare la legge dello stato alla legge di Dio? Questi obiettivi, che hanno orientato l’impegno degli americani bianchi evangelici negli ultimi decenni, possono avere la loro legittimità, ma sono insufficienti dal punto di vista del fine della vita cristiana, che è glorificare Dio. Pertanto la domanda precedente va riformulata: quale posizione politica glorificherebbe di più Dio? […]  

 

Sarà necessario abbandonare la lealtà cieca nei confronti di un partito. Il tipo di impegno politico di cui parlo implicherà sostenere ora alcune politiche dei repubblicani, ora altre dei democratici, ma il più delle volte vorrà dire adottare alcuni dei valori biblici professati dai cristiani conservatori mentre si adottano le politiche dei progressisti democratici come il mezzo migliore per realizzare quei valori. Per fare un esempio, un cristiano pro life scoprirà che a volte il mezzo migliore per combattere l’aborto non è introdurre divieti ma votare per un candidato le cui proposte per l’economia e l’assistenza sanitaria ridurranno il numero di aborti [...]. 
Una delle tesi centrali di questo libro è che i cristiani possono essere coerentemente contro l’aborto, a favore della famiglia e contro il razzismo non sostenendo i candidati del tipo che i cristiani conservatori hanno a lungo sostenuto, ma perseguendo politiche che esprimono il massimo grado di carità verso i più vulnerabili nella nostra società – i poveri, di cui Gesù ha detto che possiederanno il regno di Dio (Lc 6, 20). […]

 

I cristiani bianchi evangelici hanno da sempre votato con diverse priorità in mente, tra cui preservare l’identità cristiana della nazione, emanare leggi contro l’immoralità e difendere le proprie libertà religiose. Ma tutti questi obiettivi poggiano su un assunto falso.
Gli Stati Uniti non sono mai stati una nazione “eletta”, legata a Dio da un patto nel senso in cui lo è stato l’antico Israele, e quando è stata scritta, la costituzione non era fondata su una esplicita identità religiosa. […] Tentare di cristianizzare la nazione attraverso la politica riflette una errata comprensione tanto della politica quanto della Bibbia. […]

 
 
La vera “giustizia sociale” non ci sarà se non con il ritorno di Cristo. Ma mentre siamo nell’attesa, possiamo esercitare la nostra carità nei confronti del prossimo cercando di realizzare la giustizia nella piccola misura delle nostre comunità, grati a Dio per il privilegio di votare in un sistema democratico – anche se, come cittadini di un altro regno, sappiamo che le imperfette alternative che abbiamo nella cabina elettorale non possono reggere il confronto col governo che avremo il giorno che ogni ginocchio si piegherà davanti a Cristo Re.

 

Nel corso del mio esame dei problemi sociali che reclamano giustizia, comincio dalle due questioni che hanno ricevuto la maggiore attenzione da parte dei cristiani conservatori bianchi negli ultimi decenni: l’aborto e il matrimonio. Passo poi a esaminare una questione che è di primaria importanza per gli evangelici progressisti e a cui anche i conservatori hanno cominciato a interessarsi: quella razziale. Tuttavia, alla fine suggerisco che il migliore approccio a questi problemi possa essere perseguire la giustizia in un’area a cui la Bibbia pone continuamente attenzione: il nostro rapporto con i poveri. Quando avremo imparato a rendere giustizia ai poveri, avremo fatto gran parte della strada che ci separa dalla soluzione degli altri problemi che di solito preoccupano di più i cristiani. […]

 

I cristiani che abbracciano senza riserve l’agenda del Partito democratico finiranno con l’abbracciare qualcosa di ben più simile a una versione secolarizzata del protestantesimo liberale che non a un’etica politica autenticamente cristiana. Ho scoperto che la dottrina sociale cattolica offre un’alternativa migliore sia ai valori protestanti liberali secolarizzati dei democratici sia alla religione civile nazionale dei repubblicani. Tenendo insieme il forte impegno a sollevare gli uomini dalla povertà e a difendere i diritti delle minoranze con una netta opposizione all’aborto e con la difesa della famiglia, la teologia politica cattolica sfida i presupposti di entrambi i partiti. Gli evangelici possono imparare molto dai pensatori cattolici teologicamente e politicamente più avvertiti. […]

 

Alla fine, come cristiani potremmo non arrivare a un accordo su quale partito di volta in volta offra la migliore opportunità di fare il bene e di promuovere la giustizia. Sappiamo che neanche nella ipotesi migliore un partito politico può rappresentare adeguatamente le priorità del regno di Dio, e che nella peggiore può diventare una forma di eresia cristiana. Ma ciò non importa, perché quando ci liberiamo dallo spirito di parte e cerchiamo il bene del nostro prossimo non stiamo dando la nostra lealtà a un partito in particolare. Coloro con i quali partecipiamo alle funzioni religiose potranno mettere la croce su un altro simbolo sulla scheda elettorale, ma se voteranno con l’intenzione di mettere, sul modello di Cristo, gli interessi degli altri davanti ai propri, sia i cristiani repubblicani sia i cristiani democratici praticheranno una politica cristiana. […] Se faremo questo, potremo anche contribuire a preservare la stessa democrazia americana – l’equivalente del “cercare la pace e la prosperità della città” di cui parla Geremia (29, 7).