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"Teatro VI", capitolo quinto e finale

Marco Archetti

C’è ancora spazio per celebrare quel mirabile malmostoso di Thomas Bernhard

Detto tra noi / per tutto il tempo / credo / che siamo tutti animali / Champagne! champagne! champagne!”. Termina così, in un lieto sfasciume, “Le celebrità”, inquietante pièce di quel mirabile malmostoso che fu Thomas Bernhard. Insieme a “Piazzale degli eroi” è l’opera più ruvida e scioccante (ma solo per chi non fosse avvezzo alla radicalità della produzione teatrale del Nostro) che si abbia la fortuna di leggere portandosi a casa questo preziosissimo volume di compimento che è “Teatro VI” (Einaudi, 390 pp., 23 euro). E che arriva nelle librerie adesso, per ultimo, in un luglio che pare poco congruo per sottolinearne la doverosa rilevanza editoriale, a serrare le fila di una cinquina meravigliosa e tremenda pubblicata da Ubulibri tra il 1982 e il 1999 e ripresa, negli anni successivi, proprio da Einaudi.

 

In quest’ultimo, splendido volume, ben cinque sono le sorprese. “Le celebrità”, “Su tutte le vette è pace” e i tre dramoletti in dialetto bavarese “Match”, “Un morto”, “Funzione di maggio” erano, ad oggi, inediti. Nel primo si ritrova un’ambientazione e una serie di personaggi che, in un certo senso, hanno a che vedere con “A colpi d’ascia”, l’impietoso romanzo che faceva strame del mondo teatrale e delle sue ipocrisie, in cui un io narrante seduto su una poltrona descriveva, man mano che arrivavano, i partecipanti a una festa mondana convocata da una coppia di mecenati di provincia per festeggiare un grande attore del Burgtheater (ne risulterà una macelleria sanguinosa: tutti fatti a pezzi, tutti orrendi, tutti contro tutti tra miasmi di falsità e bassezze assortite).

 

Qui, invece, si parla del mondo della lirica. La pièce comincia con i membri di una prestigiosissima orchestra che se la ridono pazzamente perché il direttore, alla prima del Falstaff di Verdi, è precipitato a testa in giù nella buca, trovando la morte. Battuta dopo battuta – lo si intenda convenzionalmente, in realtà il teatro di Bernhard non ha nulla a che fare col botta e risposta – il grottesco prende piede e ciascuno si accanisce sempre più col proprio modello (che gli è seduto vicino, in forma di fantoccio cartonato), giustiziandolo in una specie di sabba vanamente liberatorio. Naufragando nella tipica logorrea bernhardiana, ecco che ci si trova immersi nel non senso più sfrenato, ingoiati in una spirale irresolubile – nel teatro di Bernhard i gorghi esistono per ingoiare davvero, e nessuno si salva (“L’umanità mira al genio / ma guardi un po’ tutti questi talenti / talenti così estremamente dotati che non s’è mai visto l’eguale / e tutti in rovina”).

 

“Piazzale degli eroi” è, invece, l’ultima opera teatrale di Thomas Bernhard, quella che, con più vigore, sprezzo e polemica, cerca di “estinguere” (nel senso del romanzo “Estinzione”, cioè di riduzione in cenere, di esaurimento completo) il tema della persistenza della cultura nazista nell’Austria contemporanea. Mai messa in scena in Italia prima dell’anno scorso per la regia di Roberto Andò – è andata com’è andata causa Covid, poi Rai 5 ci ha messo una pezza trasmettendolo il 23 gennaio da un teatro senza pubblico – racconta di un ebreo, il professor Schuster, che tornato in patria e spaventato da ciò che vede e esente, si getta dalla finestra di un palazzo che dà proprio sulla quella stessa piazza in cui nel 1938 Hitler annunciò l’Anschluss. “Ci sono / adesso / più nazisti che nel Trentotto / Ti metti a parlare con uno qualunque / e non ci vuole tanto / perché salti fuori un nazista”.

 

Le due pièce sono avvelenate da un senso di disgusto per la politica (là si dice “il popolo ogni quattro anni vota / i propri becchini in parlamento”, qui “da quella gente non vien fuori che immondizia”) ma soprattutto per la brutale ottusità di un mondo che non sembra destinato al riscatto. In questo senso, breve e lancinante, il dramoletto “Un morto”: con due protagoniste, in quattro pagine, tra un cadavere supposto, un libro delle preghiere e un pacco di manifesti con le svastiche, si fa il funerale alla civiltà europea.
 

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