Un viaggio spassoso verso Francoforte, a caccia di “casi editoriali”

Mariarosa Mancuso

Un editor e un fotografo a bordo di un Maggiolino rosso, diretti alla Buchmesse della città tedesca. Per raccontare dall'interno il bizzarro mondo dell'editoria. Matteo Codignola in uscita oggi per Adelphi

Due allegri mangiatori di fondue, maglione a scacchi e notevole destrezza nel tenere il boccone gocciolante sulla forchettina (come ogni bambino svizzero sa, chi lascia cadere il pane fa la penitenza). Copertina elvetica, con bandierina rossocrociata. Ma non erano istruzioni per sfangarla nell’altra vita a Francoforte, dopo che le avevamo avute per Denver (da un film con Andy Garcia) e pure per Faenza (da un libro di Gene Gnocchi)? 

Lo promette il titolo: “Cose da fare a Francoforte quando sei morto” (da oggi in libreria). Ma “il vostro aff.mo” – così Matteo Codignola si aggira tra le pagine, nella parte di se stesso: editor e traduttore Adelphi, dove ha pubblicato “Vite brevi di tennisti eminenti” – per andare alla fiera libraria di Francoforte passa dalla Svizzera. Da una ventina d’anni. A bordo di un Maggiolino rosso e poi di una Mini color becco d’oca, con un passeggero fotografo “preso dalla vita” che ha gentilmente concesso l’uso delle comuni avventure.

Primo motivo: evitare l’aeroporto milanese, onde scansare responsabili di supplementi culturali convinti, e vogliosi di spiegarlo senza il dono della sintesi, che il loro mirabile prodotto sopravviverà quando gli inserti culturali saranno come la bottiglia di Coca-Cola nel “Pianeta delle Scimmie”: qualcosa che i posteri non sapranno riconoscere. Motivo numero due (più solido e finalmente rivelato): una tappa all’autogrill di Neuenkirch, con vista sulle montagne lucernesi imbiancate. Lì friggono uno dei Cordon Bleu migliori d’Europa. Con Rösti, verosimilmente allo stesso livello: la precisione del “vostro aff.mo” viene meno per via di un impiccio amoroso del compagno di viaggio. Ci sarà pure qualche disavventura con le locali forze di polizia.

A Francoforte finalmente arrivano, in tempo per dedicarsi alla ricerca del “Libro della Fiera”. Una iattura che non soltanto affligge i partecipanti al consesso, ma anche i giornalisti culturali – “sempre in gruppo, spesso intrecciando le maniche del Loden in una ganascia metà mutuo soccorso e metà giornalismo di sorveglianza” – e a discendere i lettori (non si contano i titoli che verranno lanciati come “il caso all’ultima Fiera di Francoforte”). Libri e manoscritti si vendono, si comprano, più raramente si leggono e dunque vengono riassunti ai minimi termini come “quello dei pompini”. Giura il nostro aff.mo che alla fiera del 2019 la definizione indicava i tre libri di tendenza quell’anno, un albanese, uno scozzese e un americano. Non è una barzelletta, è la dura vita di chi ci precede nella catena alimentare, e quindi deve assaggiare senza guida.

Le avventure proseguono e, lasciato il fotografo (specializzato in ritratti di scrittori), entra in scena Simonetta, co-protagonista di avventure editoriali che oltre alle solite trattative prevedono appuntamenti per vedersi offrire inediti di James Joyce (trafugati dall’archivio del grande dublinese, e la Joyce Foundation ha già emesso la sua fatwa). Nei casi estremi – era in gioco qualcosa di davvero grosso – appostamenti silenziosi, appiattiti contro una parete di cartone, o altro materiale fragile.

Lo spassoso libro si potrebbe ribattezzare: “Sono pazzi questi editori” (per quanto il ritrattista di scrittori fa la sua parte, con i sinologi e i germanisti e la francesistica). E’ il regno degli impegni “posteriormente assunti”, per schivare proposte che si intuiscono poco interessanti. Ai festival del cinema è lo stesso, a volte basta la scena prima dei titoli di testa per aver voglia di fuggire (e raramente si sbaglia). Con l’occasione, abbiamo rinfrescato le “biscioline”, segni a matita dei redattori sui punti dubbi del manoscritto.

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