J. Winterson brucia i propri libri e poi vede l'effetto che fa

Antonio Gurrado

Cancel culture? Provocazione sociale? Niente di tutto ciò: i blurb in copertina la irritavano, voilà il rogo d'autore

La storia della letteratura abbonda di autori che abbiano bruciato i propri libri: Gogol’ colto da crisi mistica, Joyce da crisi di perfezionismo stilistico, Bulgakov da crisi depressiva, Ottessa Moshfegh da crisi climatica (le era finito il combustibile e quella già scritta era l’unica carta rimasta per la stufa). Si trattava tuttavia per lo più di manoscritti, quindi l’auto-rogo poteva essere interpretato come tecnica piuttosto radicale per procedere a tagli e revisioni. Credo invece non fosse mai accaduto che uno scrittore bruciasse l’opera del proprio ingegno perché irritato dai blurb in copertina. Lo ha fatto venerdì Jeanette Winterson. La celebre romanziera femminista ha postato su Twitter la foto di un mucchietto di propri romanzi in fiamme; per la cronaca, si distinguono “Powerbook”, “Scritto sul corpo”, “Arte e menzogne” e “Passione”. Spiace dirlo, ma questi ultimi due in Italia ormai si trovano solo in rare copie usate, senza bisogno di piromania. Più che avanzare tuttavia una serena autocritica alla propria carriera letteraria – i libri in questione coprono un lasso che va dal 1987 al 2000 – Jeanette Winterson intendeva protestare contro i “cosy little blurbs” delle nuove edizioni Penguin, “quei blurb lindi e pinti che mi fanno sembrare narrativa femminile della peggior specie!”, addirittura col punto esclamativo. “Una fantasia, un vivido sogno”, “Un bel libro, a tratti tanto bello da lasciare senza fiato”, “Brillante, intelligente, divertente e delizioso”, “Crede nell’amore e nella bellezza”: i blurb incriminati sono questi. A quanto si nota dalla foto, Jeanette Winterson ha risparmiato la nuova edizione de “Il sesso delle ciliegie”, nonostante il blurb lo trovasse “ipnotico e favoloso”.

 

Un radicato luogo comune vuole che i libri non si brucino, non si strappino, non si gettino; permarrebbe dunque il mistero di cosa fare con le montagne di invenduto che costituiscono l’ampia maggioranza dei prodotti editoriali. Avvertenza per i lettori di “Fahrenheit 451” che in questo momento si staranno lacerando le vesti: resta inteso che non si gettano, non si strappano e non si bruciano i libri altrui, nel senso di proprietà di altre persone, senza bisogno di arrivare al caso limite del povero John Stuart Mill che un giorno scambiò per cartaccia il plico col manoscritto della “Storia della rivoluzione francese” di Carlyle e alé, camino. L’educato convincimento dell’intangibilità del libro è espressione di una pseudo-cultura secondo cui esso è buono come oggetto in sé: non va sciupato né spiegazzato, non va sottolineato né sgualcito, e per meglio venerarlo bisognerebbe tenerlo in una teca senza azzardarsi a leggerlo per timore che si consumi. Ha come correlativo oggettivo la moda d’antan di decorare le scansie con coste di libri fasulli, senza niente dentro ma perfettamente in ordine, che facevano arredamento.

 

Il falò liberatorio di Jeanette Winterson – il grosso delle copie omaggio l’ha dato in beneficenza, spiega, ma il fuoco le è servito per “sollievo spirituale” – rivela invece tre grandi verità. Primo, i libri sono oggetti come altri. Se non servono o non piacciono, se non soddisfano come si presumeva, chiunque può disfarsene come crede, il lettore o l’autore a maggior ragione. Secondo, i libri non sono il loro contenuto. Un blurb ipocrita, una fetente fascetta, una copertina squallida, un errore di stampa sono motivazioni più che sufficienti a condannare il singolo oggetto libro (quella specifica edizione, quella specifica collana) come prodotto di scarsa qualità, decidendo invece di privilegiare e salvaguardare un libro dal contenuto identico ma dalla forma più dignitosa.

 

La terza verità però è forse la più significativa, e non ha a che fare col rogo in sé ma col dettaglio che il sollievo dello spirito le sia derivato tanto dalle fiamme quanto dalla pubblicazione della foto dei libri bruciati. Il falò social di Jeanette Winterson dimostra che oggi, per uno scrittore, è molto più facile bruciare i propri romanzi che il proprio profilo Twitter.
 

Di più su questi argomenti: