Le università inglesi sacrificano la libertà di parola per placare i “piccoli fanatici”

Giulio Meotti

Tanti casi, ultimo l'antropologo Neil Thin. Boris Johnson prova a correre ai ripari con una legge che protegga la libertà di parola

Sarà sanzionato Neil Thin. Gli studenti hanno utilizzato i forum online per accusare questo docente di Antropologia sociale presso l’Università di Edimburgo di essere “razzista, sessista e problematico”. Deve averla fatta davvero grossa, Thin. E’ stato preso di mira dopo avere sollevato preoccupazioni su un evento intitolato “Resisting Whiteness”, resistere alla bianchezza, ovvero riservato esclusivamente alle persone di colore, che Thin ha definito una forma di “segregazione” al contrario. Si è anche espresso contro la decisione di rinominare la torre David Hume dell’università dopo che gli attivisti hanno denunciato i commenti sulle razze fatti dal filosofo padre dell’Illuminismo scozzese nel 1742. Thin dice che dei “puritani prepotenti”  stanno cercando di distruggere la sua carriera lunga 34 anni nel mondo accademico. 

 

Thin ha inviato lettere ai colleghi domandando il loro sostegno: “Tutto quello che chiedo è che mi sia permesso di impegnarmi liberamente su importanti questioni di moralità pubblica senza che persone censorie che non siano d’accordo cercano di costringermi a tacere. Spero che vogliate tutti avere la stessa libertà”. Un certo numero di studenti ha fatto circolare una lettera anonima che suggeriva di non sentirsi più al sicuro durante le lezioni di Thin. “Come possono gli studenti, in particolare le studentesse di etnia e di minoranza nera, sentirsi al sicuro in questa università con un membro dell’istituzione che contesta apertamente le questioni femministe e si impegna con la retorica razzista?”, recitava la lettera. Uno studente ha chiesto che le lezioni di Thin venissero monitorate per garantire che il contenuto fosse “appropriato”. E non è certo il primo caso. Per questo il ministro dell’Istruzione, Gavin Williamson, avanza con l’Higher Education (Freedom of Speech) Bill, un disegno di legge e “una pietra miliare” per contrastare “gli effetti agghiaccianti della censura nei campus” su studenti, personale e relatori “che non si sentono liberi di poter dire la loro”. Noah Carl, studioso assunto dall’Università di Cambridge, è stato scaricato dalla stessa dopo petizioni contro il suo lavoro, che abbraccia la psicologia, la sociologia, la politica ed esplora le reazioni al fenomeno dell’immigrazione. Cass R. Sunstein, docente di Harvard, lo ha difeso: “La libertà accademica è sempre una buona idea. Firmare lettere congiunte che accusano accademici di cose terribili in connessione con il loro lavoro accademico e che richiedono indagini di solito è una cattiva idea”. Studiosi dell’Università di Oxford hanno scritto una lettera chiedendo la cacciata del loro collega, Nigel Biggar, per le sue affermazioni troppo indulgenti e positive nei confronti dell’imperialismo britannico. Per avere detto che la schiavitù non può essere definita una forma di “genocidio”, il celebre storico David Starkey è stato licenziato da Cambridge. Carriera finita. Lo psicologo canadese Jordan Peterson era atteso all’Università di Cambridge per un ciclo di lezioni, ma si è visto annullare l’incarico dopo che, solo 48 ore prima, gli era stata offerto.


Un collega di Thin, un importante storico costretto a nascondersi dagli agenti dell’Armata rossa mentre fuggiva dalla Rivoluzione ungherese nel 1956, ha criticato il clima “illiberale e di intimidazione” che regna nelle università inglesi. Si tratta di Gabor Gabriel Ronay, che ha raccontato al Times come l’università che gli ha permesso di ricominciare la sua vita dopo essere stato cacciato dall’Ungheria, abbia permesso “a una cultura illiberale di aver messo radici, di mettere a tacere i docenti e di dissipare l’eredità dell’Illuminismo scozzese”. Hanno sacrificato la libertà di parola per placare un piccolo gruppo di “fanatici”. “Non si può permettere che una raffica di fiocchi di neve si trasformi in un inverno permanente”.
 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.