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il foglio arte

Messa a morte e rinascita, essere una crisalide

Paola Bonani

La performance di Claudio Cintoli nel 1972 a Roma inaugura un decennio di arte-metamorfosi 
 

Un’azione di dodici minuti. Il corpo chiuso dentro un grosso involucro di tela di iuta appeso al soffitto con spesse corde. La stoffa, percorsa da evidenti cuciture, simili a nervature su una membrana o suture sulla pelle, registra gli spostamenti del corpo contorto e vivo che si muove all’interno. Sul fondo di questa pupa intessuta, o grezza placenta, si fa strada la punta di un coltello e attraverso quella prima lacerazione sbucano poi lentamente prima un dito, poi una mano, poi due mani, poi un ginocchio, poi un piede e una gamba, poi brandelli di stoffa, poi una spalla, poi la schiena e la testa. Infine, il corpo intero dell’artista si ritrova disteso a terra, umido di sudore per lo sforzo compiuto nel cercare il varco che l’ha condotto fuori da quello spazio angusto, buio e sospeso, verso l’esterno, la luce e la terra. 

 

 

Crisalide è il titolo di quest’opera che Claudio Cintoli presenta il 7 dicembre 1972 a Palazzo Taverna a Roma, sede allora degli Incontri Internazionali d’Arte di Graziella Lonardi Buontempo, in occasione di Roma. Mappa 72. La rassegna, curata da Achille Bonito Oliva, raccoglie nell’arco di un mese interventi e performance di ventiquattro artisti tra i più significativi del panorama romano, tutti impegnati in quel momento a esplorare il vasto territorio compreso tra “opera” e “comportamento”, dicotomica alternativa che proprio quell’anno aveva costituito il tema d’indagine della presenza italiana alla Biennale di Venezia.

 


Spinto da una “irrequietezza che veniva da dietro i monti”, come lui stesso ha scritto, Cintoli aveva raggiunto Roma da Imola per studiare prima alla facoltà di Architettura, poi all’Accademia di Belle Arti. Aveva lasciato Roma per New York. Era poi tornato a Roma. Qui, alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini, aveva eseguito nel 1969 le sue prime performance, dopo aver a lungo sperimentato, con una libertà dal gusto dadaista, interconnessioni tra pittura, scultura, oggetti e immagine cinematografica.
Nel 1973, quando Alberto Boatto, critico tra i più eccentrici e sensibili di quel periodo, presenta Cintoli in occasione della personale alla galleria Il Segno di Roma, riconosce nel suo lavoro chiare tracce di una nuova sensibilità, in cui “lo spazio artistico è stato restituito alle manifestazioni perverse ed interdette della carne e dello spirito”, in cui gesti, corpi, immagini e azioni sono capaci “d’aggredire le radici medesime dell’esistenza, il nodo biologico e inconscio che abita in noi”.

 

Crisalide, documentata al Segno con le foto scattate l’anno prima da Pino Abbrescia, unisce “la messa a morte con la rinascita”, scrive Boatto. Ed è per questo che è scelta di nuovo l’anno successivo da Boatto per aprile Ghenos Eros Thanatos, la mostra da lui curata alla Galleria de’ Foscherari di Bologna, poi trasferita alla Galleria Vinciana di Milano e a La Salita di Roma. L’esposizione raccoglie, oltre a Crisalide, opere emblematiche di quell’inizio di decennio, come Motivo africano di Jannis Kounellis, L’ebrea di Fabio Mauri, Lo spirato di Luciano Fabro, L’annuncio mortuaario di Gino De Dominicis, Lo scorrevole di Vettor Pisani, Foto da un atlante di medicina legale di Giosetta Fioroni. Con un forte cambio di segno rispetto al freddo e analitico linguaggio dell’arte concettuale e minimal, e lontane anche dal poverismo oggettuale e materico dell’arte povera, queste opere tornano a parlare in maniera diretta di “ciò che di più segreto e inquietante viene a qualificare l’uomo”. 

 

 

Se le sue prime performance, Annodare o Rimbalzare, erano incentrate sulla possibilità di coinvolgere il pubblico e la collettività nello svolgimento e nella definizione dell’opera, per farne il prodotto corale e casuale della somma di diverse azioni, Crisalide è un lavoro, al contrario, introspettivo, rivolto al singolo individuo e alle sue complesse evoluzioni interiori. È il semplice e intenso racconto di un processo di nascita, o più correttamente, di rinascita. Il titolo, strettamente legato all’immaginario della natura, fornisce la giusta chiave di lettura, oltre a svelare un aspetto di estrema attualità dell’opera, considerate le nuove prospettive di simpoiesi tra umani e non-umani che tanti filosofi e scienziati teorizzano oggi, fatti di compostaggi, humosità e kin.

 

Crisalide sposta, infatti, in maniera evidente l’attenzione dall’idea di nascita biologica propria dell’essere umano, unica e irripetibile, all’idea di metamorfosi, di trasformazione, di passaggio attraverso diversi stadi vitali, come avviene per la farfalla. Boatto parla di “rito” e di “iniziazione”. “L’iniziando – scrive – serrato dentro la cavità, sacco o caverna, doveva trovare con le sue uniche forze da questo simbolico luogo prenatale la via d’uscita, il bagliore della luce, ripercorrendo da solo i meandri del labirinto verso l’animazione del mondo. L’iniziazione è la prova: se nella prima nascita siamo espulsi dal corpo della madre, la seconda è un’autoespulsione, e solo a patto di questo rischio superato ci viene riconsegnato il premio meritorio dell’esistenza”. 

 

Crisalide è il racconto di una metamorfosi in cui l’uomo è soggetto attivo. Subire una metamorfosi, si è soliti dire, in inglese “undergo”, più chiaramente collegato all’etimologia latina del verbo, “andare sotto”, senza l’accezione negativa di un atto che supera la nostra volontà. Andare in profondità, per poter rinascere a nuova vita. È a questo scavo profondo che Cintoli si riferisce, “un simbolico travaglio da ripetere ad ogni nuova prova”, scrive nel 1973 Lorenza Trucchi. È l’affermazione della necessità di un cambiamento, anch’essa tanto attuale, pur nella consapevolezza già cantata da Montale: “Ah crisalide, com’è amara questa / tortura senza nome che ci volve / e ci porta lontani – e poi non restano / neppure le nostre orme sulla polvere”.
 

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