Joaquin Pinto,"L'inquisizione" (Wikimedia commons)

Non più streghe

Michele Magno

Un nuovo studio sulla persecuzione delle donne, considerate “malefiche e sataniste”, che andò avanti per quasi tre secoli

In un’epoca in cui è tristemente entrato nel linguaggio corrente il neologismo “femminicidio”, merita di essere ricordato quel vero e proprio femminicidio di massa che fu la cosiddetta “caccia alle streghe”, una delle pagine più buie della storia europea tra il Quindicesimo e il Diciottesimo secolo. È impossibile calcolare con esattezza quante furono le sue vittime. Molti registri e verbali sono andati persi, spesso distrutti volontariamente da inquisitori e giudici via via che volgeva al tramonto l’oscurantismo dell’Antico Regime. Sta di fatto che decine di migliaia di donne furono incarcerate, martirizzate e bruciate con imputazioni grottesche. Gli studi accademici più rigorosi, come quello dello storico americano Brian P. Levack appena ristampato da Laterza, stimano che i processi per stregoneria siano stati almeno novantamila e quarantacinquemila i condannati a morte, di cui quasi otto su dieci donne. Sono cifre certamente approssimate per difetto, ma sufficienti per dare conto della della tragedia che insanguinò quasi tutti i paesi del nostro continente (“La caccia alle streghe in Europa”, 401 pp., 13,50 euro).

 

Come osserva acutamente Levack, può apparire singolare che la lunga stagione dell’umanesimo e della rivoluzione scientifica sia stata il teatro della persecuzione degli ebrei e delle stragi degli eretici, della censura della stampa, di misure punitive nei confronti dei vagabondi, dello sterminio delle minoranze etniche. Un’impressionante ondata repressiva, che vide una delle sue manifestazioni più clamorose proprio nella caccia alle streghe. Ed è significativo che inizialmente essa si sia concentrata nelle regioni montane, dove nel Medioevo si erano insediati importanti movimenti ereticali. La contraddizione, tuttavia, si spiega con il fatto che in quel periodo il problema del rafforzamento dello Stato era tornato al centro della riflessione politica, e non soltanto sotto l’aspetto dei rapporti con la Chiesa. In Francia, dove le dottrine assolutistiche ebbero il più ampio ascolto, Jean Bodin diede a tali aspirazioni una prima sistemazione teorica, successivamente riprese e sviluppate da giuristi come l’inglese James Morice e il francese Charles Loyseau. Sconfitte le speranze e le velleità di un radicale rovesciamento dell’ordine costituito che avevano animato le teorie dei monarcomachi, sostenitori del diritto del popolo a uccidere il tiranno, il tentativo insurrezionale di Tommaso Campanella in Calabria (1599), il ribellismo nobiliare e le rivolte popolari di ispirazione protestante, settori sempre più vasti di borghesia, di intellettuali, di professionisti, videro nel consolidamento del potere regio l’unica garanzia di relativa libertà dei sudditi.

 

Mai come allora, quindi, ebbe un così forte consenso la condanna politica e morale di ogni forma di ribellione. “Il nome di fellonia e di ribellione porta seco infamia e odio”: la frase è forse di Campanella, ma rispecchiava un’opinione molto diffusa alla fine del Cinquecento. Parimenti diffusa era l’idea che streghe e stregoni praticassero, oltre alla magia nera, svariate attività sataniche, e soprattutto che stringessero un patto col diavolo che conferiva loro il potere di eseguire “maleficia”, cioè di arrecare qualunque tipo di sventura ai malcapitati che entravano nel loro mirino. Strettamente collegati a tali attività erano i rituali del sabba, le riunioni notturne in cui i devoti a Belzebù ballavano nudi e avevano rapporti sessuali promiscui, banchettavano con i corpi dei bambini e con altri cibi nauseabondi, spesso parodiando il sacramento dell’eucaristia. In verità, la credenza in sette di maghi volanti e adoratori del demonio durante orge segrete in cui si praticavano l’infanticidio e il cannibalismo, era radicata principalmente nelle classi colte. I contadini analfabeti, infatti, non erano in grado di comprendere i sofisticati anatemi dei teologi.

 

Essi temevano soprattutto i sortilegi delle streghe, la loro presunta capacità di nuocere attraverso mezzi occulti, e non i loro rapporti con il Maligno. D’altra parte, nei villaggi le donne facevano generalmente le cuoche, le guaritrici e le levatrici, e ciascuno di questi mestieri le esponeva facilmente al sospetto di preparare pozioni, unguenti, veleni, prodotti abortivi per le loro fatture. Il primo trattato ad assumere un ruolo di primo piano nella divulgazione del concetto di stregoneria fu il “Malleus maleficarum” (Il martello delle malefiche), pubblicato nel 1486. I due autori, Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, erano monaci domenicani. Zelanti difensori dell’autorità papale e della fede cattolica, riuscirono a ottenere da Innocenzo VIII una bolla, “Summis desiderantes” (1484), che dava loro carta bianca nella lotta contro la “nuova eresia” in diverse diocesi della Germania meridionale. Secondo Kramer e Sprenger, le streghe della categoria più potente – quelle che divoravano i propri figli – “praticavano la copulazione carnale con i diavoli”, e alla radice della stregoneria vi erano la concupiscenza e la lussuria. L’immagine della donna sensuale e lasciva, tuttavia, non era solo tipica degli ambienti clericali. Nicolas Rémy, procuratore generale del ducato di Lorena, considerava lo sfrenato erotismo femminile come l’altra faccia dell’inferiorità intellettuale e morale della donna.

 

 

Lo stesso Bodin, giurista e magistrato laico, nella “Démonomanie des sorciers ” (Demonomania degli stregoni) apparsa nel 1580, tacciava le discendenti di Eva di essere in combutta con Satana. E, per neutralizzarne la componente demoniaca, sollecitava i sovrani a escludere il gentil sesso da tutti i luoghi di comando, relegandolo unicamente nella sfera domestica. Curiosa esortazione, questa, perché mai come nell’Europa del Cinquecento un numero tanto rilevante di donne – figlie, sorelle, mogli, madri, amanti – aveva avuto accesso ad elevate responsabilità o ha governato in prima persona. Maria Tudor prima (1553) e sua sorella Elisabetta poi (1554) erano salite sul trono d’Inghilterra. Maria Stuarda era salita sul trono di Scozia (1542). Margherita d’Austria aveva governato con abilità e prudenza i Paesi Bassi in rivolta contro la dominazione spagnola (1559-1567). Renata di Valois (1510-1572) a Ferrara era stata l’anima di un cenacolo di intellettuali seguaci del verbo calvinista. Jeanne d’Albret (1528-1572), regina di Navarra, si era dedicata alla difesa della causa protestante e all’educazione del suo giovane figlio, Enrico di Borbone, destinato a regnare su tutta la Francia. Né si può dimenticare che per circa trent’anni sarà una regina, Caterina de’ Medici (1519-1589), a tutelarne gli interessi in uno dei periodi più tragici e sanguinosi della sua storia. In una celebre requisitoria, Jules Michelet ne farà l’incarnazione della doppiezza e della cattiveria femminile.

 

Nella “Comédie Humaine”, Honoré de Balzac ne esalterà invece la politica di tolleranza e di riconciliazione, che avrebbe consentito alla monarchia francese di superare una delle sue prove più difficili dopo ben otto guerre di religione e il massacro degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572). Ma torniamo al punto. Nonostante alcune voci dello scetticismo rinascimentale, come quella del medico Johann Wier nel “De praestigiis daemonum” (La falsa monarchia dei demoni, 1582), si fossero levate per criticare il dogmatismo misogino del Malleus, la percezione di una crescente influenza luciferina sul corso delle vicende umane si affermò senza grandi ostacoli. Il trauma della Riforma, le frequenti carestie e pestilenze, le innumerevoli rivolte contadine, gli aspri conflitti civili e religiosi, le prime rivoluzioni nazionali dell’età moderna, allarmavano le élite europee. Insieme all’ebreo usuraio, la strega divenne così il capro espiatorio di ogni sorta di avversità. In quanto eretica e apostata, era colpevole di tradimento contro Dio; in quanto serva del diavolo faceva parte di una cospirazione subdola volta a sovvertire l’etica cristiana e la struttura gerarchica della società stabilita dal Signore. Poteva accadere, quindi, che i vescovi riuniti nel Concilio di Basilea (1431) addebitassero la sollevazione delle plebi rurali a una congiura diabolica ordita per distruggere il celibato del clero; o che Giacomo VI di Scozia (1566-1625) fosse convinto che una congrega di streghe guidata dal conte di Bothwell stesse complottando per spodestarlo. Il Malleus non fu l’unico pamphlet a ispirare i processi per stregoneria.

 

Nel 1524 Paolo Grillando pubblicò un libello che divenne una delle principali fonti d’informazione sul sabba, della cui esistenza il magistrato pontificio si mostrava certo. Dopo il 1570 la caccia alle streghe ritornò prepotentemente sulla scena europea, accompagnata dalla pubblicazioni di nuovi manuali demonologici. Nel 1599 il gesuita spagnolo Martín Del Rio diede alle stampe il suo “Disquisitionum magicarum libri sex”, considerato come il più autorevole trattato sulla stregoneria del Seicento. Nel 1635 un giurista luterano, Benedict Carpzov, pubblicò un commentario al diritto penale della Sassonia che divenne il Malleus dei protestanti. In Italia la guida più completa alle iniquità della stregoneria fu il “Compendium Maleficarum” di Francesco Maria Guazzo (1608). Il frate milanese inserì nel libro diversi disegni di streghe che fornicavano col diavolo per terrorizzare i suoi lettori creduloni. L’accanimento giudiziario contro le streghe fu favorito, a dir poco, dalla facoltà di usare la tortura concessa ai tribunali secolari e ecclesiastici già nel Duecento. Il sistema più utilizzato era quello della corda o “strappata”: tramite una puleggia si sollevava in aria la vittima, che rimaneva appesa con le braccia legate dietro la schiena. Gli strumenti di compressione degli arti più comuni erano le viti per le le gambe e le mani, le ganasce e vari tipi di pinze per la testa.

 

In Germania la confessione era estorta facendo sedere l’imputata su una sedia rovente, in Spagna e in Francia veniva costretta a ingurgitare con la forza grandi quantità di acqua, fino a cavarle gli occhi, mozzarle le orecchie o riempire le sue narici di calce bollente. Solo in Inghilterra la tortura era vietata nei processi per stregoneria. Salvo in Spagna e in Italia, negli altri paesi europei le streghe venivano legate a un palo e strangolate, impiccate o decapitate prima di essere consumate dalle fiamme. Benché le ricerche più recenti abbiano dimostrato che i tribunali ecclesiastici furono tra i più miti, non pochi inquisitori papali si sottraevano con sotterfugi capziosi alla moderazione talvolta sollecitata esplicitamente da Roma. In ogni caso, il ricorso indiscriminato alla tortura non solo risolse il problema della confessione e della raccolta delle prove, ma rese possibile la condanna di chiunque fosse semplicemente sospettato di stregoneria. Verso la fine del Seicento l’uso della tortura cominciò a essere messo in discussione. Alcuni pastori e biblisti protestanti si spinsero oltre. Il priore calvinista olandese Balthasar Bekker sferrò un attacco frontale all’ortodossia demonologica nel suo “De Betoverde Weereld” (Il mondo incantato), subito tradotto in inglese, tedesco e francese (1691-1693). Figlia del razionalismo cartesiano e del verbo erasmiano, l’opera liquidava il patto col diavolo, il sabba, la possessione demoniaca e la stessa magia nera come volgari superstizioni. Per altro verso, Christian Thomasius, un eminente giurista luterano dell’università di Halle, in un trattato pubblicato nel 1705 affermò che la tortura era disumana e contraria allo spirito di carità, che non era citata nelle Scritture, e che la stregoneria era solo un reato immaginario. Denunciando l’esercizio barbaro di un “potere incivile e di violenza illegale”, picconava così l’edificio costruito da intere generazioni di teologi.

 

Più tardi il reato di stregoneria fu depenalizzato e la tortura abolita, dalla Scozia nel 1709 e, per ultima, dalla Baviera nel 1806. L’ultima condanna a morte per stregoneria fu quella di Anna Göldi nel 1782, accusata di infanticidio e ghigliottinata nel cantone svizzero di Glarus. In realtà, nell’Ottocento non cessarono i linciaggi delle streghe, soprattutto nelle campagne. Questi atti di giustizia sommaria, di gruppo o individuali, pubblici o privati, si ripetono in altre forme ancora oggi, fino alle mutilazioni sessuali tuttora praticate in alcune società. Del resto, le quotidiane cronache di violenza sulle donne narrano che, nonostante gli innegabili progressi compiuti sul terreno della parità dei diritti di genere, l’altra metà del cielo viene perseguitata non appena prova a scavalcare i confini della tradizionale triade famiglia, maternità, coppia. Accanto a sopraffazioni atroci come l’omicidio, l’ustione, l’acido, si sono aggiunte nuove forme di rogo sul web, che scaricano sulle donne la responsabilità di una molestia patita o di uno stupro subito. Non per caso una recente indagine dell’Istat ha certificato che, per un quarto degli italiani, per un motivo o per l’altro “se lo sono cercato”. Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle, diceva Voltaire. È vero solo in parte. Per fortuna, però, le donne continuano a sorridere, a essere irriverenti e a disobbedire, anche nella sofferenza e nell’umiliazione.

 

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