TRUC À FAIRE - 2021, exhibition view Galleria Continua, Paris. (foto Sara De Santis viagalleriacontinua.com) 

L'unica galleria aperta a Parigi è italiana e i francesi ne vanno pazzi

Francesco Stocchi

Galleria Continua ha potuto continuare a lavorare grazie alle licenze sulla vendita di beni essenziali: insieme a caffé, pasta, pan de queso, dà spazio alle opere d'arte

Siamo a Parigi, rive droite, Rue Michel-le-Compte angolo Rue du Temple. Siamo nel cuore del quartiere Marais, che dopo trent’anni dalla sua riabilitazione porta tutti i fasti e le contraddizioni delle metropoli contemporanee. Bio qua e bio là, palestre chic, hamburgherie vegane, ma anche cineserie e maroquinerie, concept stores… e si trovano anche numerose gallerie private, tra le migliori di Parigi, concentrate in pochi isolati. In questo polisemico scorcio rappresentativo del nostro tempo, ha trovato spazio, anzi spazi, la Galleria Continua. Aperta nel 1990 a San Gimignano, Continua ha presto deciso di adattare ambienti fortemente connotati quali cinema, mulini, alberghi o stadi, a spazi espositivi presentati come alternative creative e culturalmente specifiche all’omogeneità del white cube.

 

Ultima sede è proprio quella parigina, inaugurata per caso lo scorso gennaio quando il silenzio delle serrande abbassate del Marais fu visto come un invito a rimettere le energie in circolo. Questione di punti di vista, di opportunità e di flirtare con il rischio. Ecco quindi una serie di otto-nove vetrine di negozi ora svuotati dal pellame conciato in offerta. Due piani, ottocento metri quadrati, cosa fare ora? Ne parliamo con Maurizio Rigillo, uno dei tre fondatori della Galleria. JR, un artista con cui la galleria lavora è bloccato a Parigi – JR quello che manipola gli spazi pubblici per mezzo di stampe in bianco e nero (il mese scorso sulla facciata della Strozzina a Firenze) – si propone come generoso e spavaldo risolutore: “Ghe pensi mi (avrà detto in dialetto parigino), il y a des trucs à faire”.

 

 

Si fa con quello che c’è e c’è abbastanza per fare bene, basta organizzarlo al di fuori delle convenzioni e non dimenticare di guardarsi intorno. Il primo sguardo è quindi rivolto al quartiere, si aggiungono insegne colore pastello in stile anni Sessanta, lo spazio non come luogo avulso dal suo contesto (niente international style per intenderci), ma che rispecchi il carattere del posto in cui è sorto. Siamo nel localismo sovrano d’esportazione. Quindi, mettere gli spazi a nudo rivelandone lo scheletro, si agisce procedendo in levare e conservando la struttura. Rimangono gli scaffali vuoti che ospitavano i prodotti simbolo dell’economia globale, questi ora sostituiti da opere d’arte che rappresentano cognitivamente la stessa deriva di valicazione delle frontiere. 

 

La Galleria Continua si presenta a Parigi inaugurando una mostra che offre tre tipologie di “prodotti”: opere d’arte di ognuno dei 52 artisti che la galleria rappresenta, i cataloghi delle mostre finora realizzare e i prodotti alimentari provenienti dai cinque paesi dove la Galleria Continua ha sede (Italia, Francia, Cina, Cuba e Brasile). All’ingresso carrello della spesa, in un’allegra, caciarona sovrapposizione di lessici e significati, orchestrata dall’abile circense dei corto circuiti sociali che è proprio JR. Una mostra-autoritratto della Galleria e del quartiere dove leggerezza, savoir-faire e stratificazione semiotica entrano in circolo. 

 
Il successo del pubblico è indiscusso; successo che diventa motivo di resilienza quando il governo francese (nei giorni scorsi citato in giudizio da un nutrito gruppo di gallerie private) decide la chiusura dei commerci non essenziali. Galleria Continua rimane l’unica galleria aperta, le licenze glielo permettono continuando a vedere pan de queso, libri, caffè, sculture, pasta, fotografie.

 

Per ovvi motivi non abbiamo potuto verificare di persona, curiosi però e allergici nei confronti del sentito dire che spesso lascia la materia in sospeso. Francesco Marinelli dello studio di architettura IT’s vi si è recato di persona: “Un modo coinvolgente di poter fruire l’arte e rimettere in discussione i limiti stessi della galleria. Da architetto ho apprezzato la rilettura dello spazio, fatta anche in modo frugale ma al servizio delle opere. Ciò che rimane intatta resta l’atmosfera, la scrittura dello spazio tale e qual era, intervenendo solo sul necessario. Queste modalità esistono con un fine preciso, quello temporale. Data l’urgenza attuale si apre il prima possibile, il processo rimane quindi visibile il che consente maggiore interazione con una ristrutturazione sequenziale che risponde allo spirito del tempo. Un grande salto in avanti, all’improvviso le altre gallerie del quartiere sembrano luoghi vecchi”. Depositarie, forse, di qualcosa che non c’è più.

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