Un manifestante durante la protesta di "Io apro" a Roma (Ansa)

Saverio ma giusto

Non basta essere antiproibizionisti per passare alla Storia

Saverio Raimondo

L’eredità trasgressiva degli anni Venti: ieri charleston e cocktail immortali, ma oggi? 

Prima o poi (forse più poi che prima, ma insomma) questo eterno presente pandemico finirà; e ci ritroveremo dall’oggi al domani (dopodomani in alcune regioni italiane) nel futuro. E chi credete che celebreranno, i nostri pronipoti? Non certo noi, noiosi e ubbidienti animali domestici, igienizzati e distanziatissimi, in tuta e fuori forma, ligi alle restrizioni e ai divieti. Alla Storia ci sono sempre passati i rivoltosi, i trasgressori, i ribelli; dai rivoluzionari ai partigiani, dai capelloni ai manifestanti, i miti del domani saranno quelli che oggi stanno disubbidendo. Dunque non è con severità e moralismo, bensì con lo sguardo rivolto al futuro che dobbiamo guardare a chi oggi protesta in piazza contro le chiusure, ma soprattutto a chi in barba ai divieti ha aperto il proprio esercizio commerciale o organizzato una festa privata: quando si faranno le serate a tema “Anni 20” (del nuovo millennio) saranno loro i modelli da imitare.

 

 

Ed è qui il problema: il proibizionismo dei precedenti anni 20, “ruggenti” e “folli”, ha generato una controcultura che ha lanciato mode e creato tendenze ancora oggi iconografiche e cariche di suggestioni. Gli attuali antiproibizionisti, invece, cosa stanno facendo di così leggendario? Prendiamo quel bar di Chivasso che sta passando agli onori della cronaca per collezionare decine e decine di multe con i suoi “aperitivi disobbedienti”: negli storici speackeasy si sono inventati cocktail immortali come il Sidecar, il Mary Pickford, il Long Island o il French 75, mentre nel bar del Torinese è probabile che vengano serviti solo bianchini o crodini, al massimo qualche Spritz, il tutto con patatine in busta e noccioline salatissime – e senza nemmeno la fantasia di una parola d’ordine. O ancora, il pranzo scoperto dalla Guardia di Finanza alcuni giorni fa in Sardegna fra politici e dirigenti regionali, pare una quarantina di persone in tutto: negli Stati Uniti degli anni 20 la vendita, la produzione e il trasporto di bevande alcoliche erano vietati, quindi chi si recava nei bar clandestini era per bere gin o whiskey di contrabbando, fra alcolismo e gusto del proibito; mentre pranzi e cene illegali nei ristoranti delle zone arancioni o rosse offrono quegli stessi primi, secondi e contorni che uno può serenamente cucinarsi a casa propria, per giunta vantandosene sui social con le classiche foto da chef casalingo.

 

E se diamo un’occhiata ai dati del Viminale, le sanzioni più recenti sono scattate in presenza di “bische clandestine” (le Sale Bingo erano già tristi prima, figuriamoci adesso di soppiatto e senza fare rumore), “rave party all’aperto” (di fatto dei picnic) e “multe da 400 euro per chi prendeva la tintarella”: dagli anni 20 del secolo scorso abbiamo ereditato i capelli corti, il tennis look o alla marinara, le gonne corte, le frange e i ricami; questo nuovo decennio di trasgressioni invece cosa lascerà ai posteri, la moda dell’insolazione? Il miglior jazz negli anni 20 lo si poteva ascoltare nelle feste clandestine o nei bordelli; mentre nelle attuali feste private che di tanto in tanto vengono denunciate e sanzionate, che musica si ascolta? Colapesce e Dimartino come in una qualunque playlist radiofonica “in sottofondo dentro ai supermercati”? 

 

 

Non basta non indossare la mascherina per fare tendenza ed essere iconici: qui urge che chi trasgredisce alle norme anti Covid sfoggi abiti nuovi, rivoluzioni i costumi sessuali, inventi un ballo travolgente al pari del charleston. Altrimenti si rischia che il Grande Gatsby di questi anni sia solo la miserabile storia di un gruppo di gente abbronzata fra festini casalinghi con alcol scadente e braciolate in terrazza sventate dai droni della municipale.

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