L'attacco di Élisabeth Roudinesco al conformismo razziale e di genere

Giulio Meotti

Il nuovo libro della biografa di Jacques Lacan: "Chi sceglierà di distruggere cosa? Lo stato, i sudditi sofferenti, le folle inferocite? Chi denuncia chi?"

La piattaforma di streaming Twitch ha fatto marcia indietro sulla decisione di cambiare la dicitura di women. L’azienda aveva detto che avrebbe usato il termine “womxn” per essere più neutrale e inclusivo rispetto al genere. Una parola diventata popolare dopo l’accusa che il termine women aveva radici patriarcali. Siamo nel bel mezzo della guerre delle identità di cui parla Élisabeth Roudinesco nel suo nuovo libro, Soi-même comme un roi, essai sur les dérives identitaires, in uscita da Seuil. Attacca il concetto di “intersezionalità”, teoria americana che sta diventando egemonica e secondo cui le diverse forme di ineguaglianza e discriminazione si mischiano tra loro. Le donne afroamericane sono soggette a discriminazioni più di quanto non lo siano le donne bianche. E le donne afroamericane trans sono al vertice del vittimismo, sopra anche le lesbiche. 


Roudinesco critica lo sconcertante abbattimento delle statue e dei simboli in nome della lotta al razzismo e la violenza ideologica con cui si manifesta l’odio per gli uomini al centro della lotta neofemminista. C’è, sullo sfondo del libro, il fenomeno dell’“assegnazione dell’identità” che ha preso piede negli ultimi vent’anni, al punto da stravolgere l’intera società. C’è, come esito, “un nuovo conformismo” che accomuna il transgenderismo queer quanto i movimenti immersi nella ricerca di una politica razzializzata. 


Roudinesco è la celebre psicoanalista biografa di Jacques Lacan e viene da sinistra. Attacca l’uso crescente di gerghi e neologismi che, “una volta decretati fungono da catechismo e finiscono per far scendere in piazza”. Entra in guerra contro le derive dell’identità, a rischio di incorrere nell’accusa di essere diventata reazionaria. Attacca la “nozione ripugnante” del pentimento. 


Una cultura dell’identità che è la risposta all’indebolimento dell’ideale collettivo, al fallimento dei regimi comunisti e ai cambiamenti nella famiglia. La nozione di genere, forgiata da opere letterarie, sociologiche e psicoanalitiche degli anni Settanta sulla scia del Secondo sesso di Simone de Beauvoir, oggi consolida “un’ideologia dell’appartenenza normativa che arriva fino a dissolvere i confini tra sesso e genere”. Scrive Roudinesco: “Non vediamo come si possa affermare, da un lato, e con esattezza, che un bambino di età inferiore ai quindici anni non acconsente mai a una relazione sessuale con un adulto, e considerare, dall’altro, che sarebbe abbastanza maturo – cioè consenziente – da decidere di fare una ‘transizione’ di genere”. 


Chiede allo stato di non cedere alla richiesta di una registrazione “neutrale rispetto al genere” nel registro civile. Allo stesso modo, l’idea di “razza” è stata rimessa in gioco dai cosiddetti studi “postcoloniali”, quando era stata liquidata dagli anticolonialisti francesi (Sartre, Derrida, Lévi-Strauss, Blanchot, Bourdieu). Attacca la cancel culture. “Dobbiamo sradicare le tracce del passato degradando statue, edifici, opere d’arte che sono state erette dai colonialisti o appartenevano a loro? Dovremmo censurare libri, opere teatrali o film, o vietarli, o addirittura reinterpretarli secondo un’identità volgare di nuova costruzione: di genere, non di genere, queer, decoloniale, razzializzata? E chi deciderà cosa? Chi sceglierà di distruggere cosa? Lo stato, i sudditi sofferenti, le folle inferocite? Chi denuncia chi?”.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.