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Music design

Il ritmo dello shopping

Simonetta Sciandivasci

La musica influenza il nostro cervello mentre facciamo acquisti. Occhio, in vista di Sanremo

 

L’anno scorso, quando Diodato vinse il Festival di Sanremo, era notte fonda e, sebbene fossimo allo stremo, piangemmo tutte. Lacrime laviche, quelle che si piangono un paio di volte nella vita, per gli amori che finiscono ma non smettono. Nei mesi (sì, mesi) seguenti, se qualcuno ci avesse detto che, oltre a fare di noi lapilli umani e spingerci nei posti che avremmo dovuto evitare, quella canzone ci avrebbe indotte a fare altro, avremmo pensato: sì, alla lobotomia. Invece, le evidenze neuroscientifiche rilevano che quella canzone aiuta gli affari, è perfetta come sottofondo di un pranzo di lavoro di quelli che prima della pandemia detestavamo e che adesso ci sembrano un tour su un Westfalia con i Led Zeppelin.

 

Succede perché, quando ascoltiamo una canzone, il nostro cervello bada alle parole molto meno di quello che la nostra coscienza ci fa credere: la musica va più a fondo, “attiva le aree limbiche, quelle che determinano il comportamento impulsivo”, spiega al Foglio il professor Lorenzo Dornetti, direttore del Neurovendita Lab, dove si studia come funziona il nostro cervello quando compriamo qualcosa. La musica che ascoltiamo in un negozio, virtuale o fisico che sia, nella maggior parte dei casi, è una scelta precisa perché ciascuna canzone può influenzare un acquisto e, prima ancora, la permanenza in uno spazio commerciale. Il music design è parte centrale del marketing da molto tempo, soprattutto negli Stati Uniti, dove esistono catene di negozi che mettono sotto contratto le band per realizzare canzoni che si adattino al tipo di prodotto che vendono.

 

Le compilation che ci vengono rifilate nei locali durante un aperitivo, quelle dove tutto è marimba, pure i Clash, anche se non ce ne rendiamo conto, sono studiate per distoglierci dal punk e concentrarci sul Martini. Dornetti ha da poco ultimato uno studio sugli effetti delle canzoni che hanno vinto Sanremo negli ultimi anni e ha scoperto che Ermal Meta e Fabrizio Moro predispongono a comprare opere d’arte figurativa; Gabbani il design; Mahmood i vestiti urban. Il legame tra neuroscienze e shopping è un filone di studio acclarato da almeno una ventina d’anni. Dice Dornetti: “Il comportamento dei consumatori è influenzato soprattutto da due parametri: il ritmo e lo stile. Le persone sono inconsapevoli, ma la musica che ha bassi battiti per minuto, le induce a rallentare, quindi a stare più tempo in un posto”. (segue a pagina due) Le canzoni condizionano tutto, inclusi i consumi, anche perché il cervello odia il silenzio, anzi lo teme.

 

 

Dice Dornetti: “Le aree più antiche del sistema nervoso associano il silenzio alla paura. Una foresta non è mai davvero silenziosa, lo è solo quando è presente un grande predatore. Questa associazione salvavita è impressa nei circuiti cerebrali e determina il legame tra musica ed emozioni”. So che state pensando che questo Sanremo è così importante che di certo vi indurrà a fare cose sconsiderate come accendere un mutuo per comprare casa in Costa d’Avorio, ma ricordate: non contano le parole, conta il ritmo. E visto che ci sarà molto rap, e il rap ha un indice alto di battiti per minuto, al massimo sarete indotti a comprare polpette. Super Amadeus ha pensato proprio a tutto, pure a salvarci dallo shopping compulsivo di beni immobili.

 

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.