Il foglio del weekend
Una statua per amica
Una vita in lotta contro la burocrazia artistica. In vent’anni Anna Coliva ha trasformato la Galleria Borghese. Contro i benecomunisti della cultura
Anna Coliva fa parte della schiera più chic del mondo di oggi: quelli che il Covid l’hanno già avuto, gli immunizzati. Quelli invitabili a cena. Ma non ha chiuso solo col Covid: dopo vent’anni di trionfi la dama più temuta, ammirata, contestata, dell’arte romana, sta per lasciare la direzione della Galleria Borghese. “Franceschini non mi ha salutato, strano, tra tutti i direttori generali uscenti. Tutti maschi. Sarà mica che sono donna?”. Non mi fare il lamento femminista proprio tu. Hai fatto tremare le burocrazie artistiche di mezzo mondo: maschili, femminili, non binarie. “Quando decisi di andare alla Galleria Borghese i colleghi raccolsero le firme. Per salvarmi. Ritenevano che andare a dirigere un museo fosse una specie di avventatezza o disgrazia in cui m’ero andata a ficcare. Pare abbastanza incredibile, oggi, ma la galleria era chiusa al pubblico da quindici anni”. Come quindici anni? “Sì, erano cascati dei calcinacci, chiusero tutto per i restauri, poi se ne dimenticarono. Alla fine mi venne un’idea. Tramite Capucci, il sarto, che era un comune amico, riuscii a portarci Donatella Dini, moglie dell’allora premier. Feci il diavolo a quattro, per trovare un sistema. Dissi a Capucci: tu fammela venire, al resto penso io. La Dini salì su un’impalcatura, camminando sui ponteggi, e facendosi largo tra i teli di cellophane, e sbucò in faccia al ratto di Proserpina del Bernini. Un’apparizione. Naturalmente bastò quello. In tre giorni il governo sbloccò i fondi”, e la Galleria Borghese fu salva.
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- Michele Masneri
Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).