“Wakefield” è un buon antidoto all'egolatria straparlante oggi di gran moda
Il racconto di Hawthorne che inchiodò anche Harold Bloom
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“Ho perso la guerra contro i barbari”. Così Bloom provò a fermare la “mafia decostruzionista”
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La morte di Harold Bloom, a cui piacevano gli scrittori bravi, per lo più bianchi e del passato
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I demoni di Harold Bloom
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La resa dei reazionari
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La globalizzazione europea
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Territori dell'umano
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Un angelo con la faccia sporca
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E' ora di recuperare un romanzo-freak
Chiamiamolo Wakefield. Oppure chiamiamolo in un altro modo. Chiamiamolo con un nome qualunque – in fondo lo era, un uomo qualunque. Un uomo di età mezzana, la cui vita affettiva era costituita da sentimenti abitudinari. L’immaginazione non era affar suo, ed era alieno a ogni eccentrismo. Eppure, al crepuscolo di un giorno di ottobre, se n’è andato. All’improvviso ha aperto una breccia nella sua felicità coniugale e, col suo soprabito grigio, un cappello di tela incerata e la valigetta, è partito e non è più tornato. Per un totale di vent’anni di assenza, durante i quali lui ha vissuto a un solo isolato di distanza e la derelitta signora Wakefield non ha avuto più sue notizie. “Dovessi ritardare tre o quattro giorni,” le ha detto prima di andarsene, “non ti allarmare”. Si può immaginare che lo stesso Wakefield non sospettasse nulla di ciò che stava per fare e che l’idea di quei vent’anni di assenza gli fosse, al momento, ignota? Un attimo prima che la porta si chiudesse, la signora Wakefield vide dallo spiraglio il volto del signor Wakefield. E il signor Wakefield le sorrise.
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