Il guaio di Nietzsche è che la sola umanità che riesce a vedere è la propria

Alfonso Berardinelli

Leggendo “Aurora”, un diario che pretende di essere una profezia

Arriva, nella storica collana dei Grandi Libri Garzanti, Aurora di Nietzsche, “pensieri sui pregiudizi morali”, a cura di Sossio Giametta (372 pp., 15 euro). Qualcuno potrà pensare che dopo la buia notte del virus e dopo i lenti, insidiosi crepuscoli delle fasi post, ci sia bisogno di una nuova aurora. L’opera di Nietzsche fu pubblicata nel lontano 1881. Non sento nessun particolare bisogno di Nietzsche, non l’ho mai sentito. C’è qualcosa che mi respinge nei suoi scritti, nel suo stile, più che nei contenuti: nel suo addoloratissimo e maiuscolo Io che pretende di ergersi, da solo, contro due millenni di cultura occidentale.

Aurora è una delle opere più poeticamente aforistiche del filosofo che voleva (parole sue) filosofare col martello, o meglio, più grandiosamente, “essere dinamite”. E’ un’opera che precede di poco La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, più lette e universalmente note: le precede e ne annuncia la culminante importanza. E’ il libro nel quale, come dirà anni dopo in Ecce Homo, “comincia la mia campagna contro la morale”.

 

Già nella Prefazione l’intento è orgogliosamente dichiarato, nella consapevolezza che chi scava a fondo “non incontra nessuno” e “deve sbrigarsela da solo”. Infatti: “Io intrapresi qualcosa che non può essere affare di tutti; scesi in profondità, perforai il fondo, cominciai a scrutare e a sgretolare un’antica fiducia, sulla quale, da un paio di millenni, noi filosofi siamo soliti costruire come sulla base più sicura – sempre di nuovo, sebbene ogni edificio sia finora crollato: cominciai a minare la nostra fiducia nella morale. Ma voi mi capite?”.

 

Riapro Aurora dopo vari decenni. Quando mi misi per la prima volta a leggere Nietzsche ne fui respinto dopo una ventina di pagine. Avevo la sgradevole impressione di avere di fronte non soltanto un uomo che parla in solitudine (non c’è niente di male, in questo) ma un uomo che, parlando a sé stesso, si ingigantisce senza freni invece di incontrare ostacoli e limiti, cioè qualcosa che non sia il proprio io pensante.

Più che al bene e al male, Nietzsche è interessato a salute e malattia, forza e debolezza. Con la propria salute e forza vitale aveva non pochi problemi, ma non voleva medici. Voleva essere il medico di sé stesso e non delegare a niente e a nessuno la cura di sé. Il medico con la sua scienza medica ci espropria della nostra scienza di sé, come il sacerdote cristiano e il moralista ci privano del nostro dominio su noi stessi, del nostro “sentimento di potenza”.

 

Al cristianesimo Nietzsche contrappone, per quello che ne sa, la religione originaria dell’India, il brahmanesimo, una religione che diversamente da quella cristiana era fatta, dice, “per coloro che sanno dominare sé stessi e già per questo hanno familiarità col sentimento di potenza” (aforisma 65). In questo senso per Nietzsche morale e medicina “popolari” si equivalgono e sono alleate, essendo l’una e l’altra le “pseudoscienze più pericolose” (aforisma 11). Si tratta invece di lavorare filosoficamente “Per una nuova educazione del genere umano” (aforisma 13) spezzando il supposto legame necessario di causa ed effetto tra colpa e castigo. Già, bisogna “allontanare dal mondo l’idea di castigo che l’ha tutto ricoperto! Non c’è erbaccia peggiore! (…) Sì, si è spinta questa follia fino al punto di far sentire l’esistenza stessa come castigo – è come se l’educazione del genere umano fosse stata finora guidata dalle farneticazioni di carcerieri e carnefici!”.

Farneticazioni criminose, queste, che sono il contrario di quella apparente dissennatezza che è la “pazzia ispirata”, dalla quale (e qui Nietzsche cita Platone) “sono venuti alla Grecia i più grandi beni”. Siamo così all’aforisma 14 che si intitola “Significato della pazzia nella storia della moralità” e che riempie due pagine e mezza concentrando il succo di una nuova irrazionale ragione e di una nuova morale antimorale.

 

Mi sono messo a leggere Aurora e per un po’ non ne verrò fuori. E’ una mescolanza esasperante di vero e di falso. Ascolterò le perorazioni di Nietzsche che esalta le antiche sapienze e le dottrine segrete di asceti, santi e anacoreti, capaci di credere assolutamente in sé stessi uccidendo ogni dubbio. A me resta un dubbio: perché un uomo, se aveva deciso di “non incontrare nessuno”, si proponeva nello stesso tempo di “rieducare il genere umano”? Il guaio di Nietzsche è che la sola umanità che riesce a vedere è la propria. Il suo è un lucido, contraddittorio, drammatico diario, che purtroppo pretende di essere una profezia.

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