Vita a Rozzangeles

Mariarosa Mancuso

Sogni di famiglia, un armadietto chiuso e molti spazi bianchi. Un po’ poco in “Febbre” del millennial Bazzi

Carotaggio Strega, in ordine alfabetico. Stavolta sono sei, in posa con la mascherina – o senza mascherina, ma sempre spalla a spalla. Jonathan Bazzi ha la camicia arancione e una collana turchese (mise firmata Valentino, sui social circola la foto del porta abiti, scattata dallo scrittore medesimo: se il name dropping non esistesse bisognerebbe inventarlo). Il suo romanzo “Febbre” è l’outsider, o il ripescato. Fatte le votazioni, si sono accorti che le piccole case editrici non erano rappresentate. Siccome il regolamento lo consente, hanno spulciato la lista dei non eletti e hanno trovato Fandango. Dalla cinquina dell’anno scorso, si deduce che La Nave di Teseo da piccola che era è diventata grande. Mentre è ormai tradizione la presenza di due titoli Einaudi: Valeria Parrella e Gianrico Carofiglio, per Stile Libero (nel 2019 erano Marco Missiroli e Nadia Terranova).

   

Carotaggio vuol dire leggere la pagina 69, abbastanza lontana dall’inizio perché il romanziere tiri un po’ via, certo di aver conquistato il suo lettore – il gioco viene dal mondo anglosassone, dove il romanzo poggia più sulla bravura tecnica che sulla sublime ispirazione. Lì vige la banale e però mai abbastanza ripetuta regola secondo cui lo scrittore deve saper scrivere meglio di chi legge. Da pagina 69, cerchiamo di capire come funziona il romanzo. Dimenticando, nel caso di “Febbre”, le sparate su Instagram dell’autore medesimo, e le liriche recensioni dei suoi fan. Del tipo: “Ho visto il futuro del premio Strega, porta una camicia fantasia impreziosita da una collana, su pantaloni con banda a contrasto, si chiama Jonathan Bazzi”. Già, ma come scrive? Quel che racconta è difficile non saperlo, se poco poco guardate le pagine letterarie (leggerle a volte è un’impresa, nella fattispecie bastavano i titoli – e il titolo del romanzo). Parla di una febbricola che non se ne vuole andare via, e della vita a Rozzano, ribattezzata Rozzangeles (Francesco Mandelli dei Soliti Idioti aveva qualche anno fa intitolato “Osnangeles” un memoir su Osnago, paesello natìo dalle parti di Erba).

   

A pagina 69, molti spazi bianchi e molti a capo, più per rendere solenni le parole che per dare ritmo (“la letteratura è ritmo”, disse una volta Aldo Busi improvvisando un balletto durante un talk-show: gli scrittori italiani erano troppo impegnati a leggere i classici alla fioca luce della lampadina consentita dal loro reddito per imparare la lezione). C’è un problema di armadietti, siamo alla fine di una lezione di yoga – la voce narrante appartiene all’istruttore. Qualcuno per sbaglio gli ha bloccato con un lucchetto le scarpe lo zaino e la sciarpa con le frange. La ragazza della reception non può aprirlo fino a mezzanotte, quando è chiaro che un cliente ha occupato lo spazio in spregio al regolamento. Il giovanotto con la febbre trascina i suoi 66 chili al bar.

  

Lo spezzettamento non produce nulla di notevole. A parte l’umana compassione per una febbre autobiografica e una Rozzano autobiografica. Aggiungiamo anche uno scrittore che deve ricorrere al crowdfunding per comprarsi un computer e scrivere il secondo romanzo. Ma la giovinezza travagliata e la malattia formano una combinazione vincente, difficile da riproporre nell’opera seconda. Saltiamo a pagina 99, per una controprova (la scelta del romanziere Ford Madox Ford, la 69 era il suggerimento del saggista Marshall McLuhan). Vengono riferiti i sogni di famiglia, con qualche a capo in meno. Non è la Rai dà un tocco pop. Pochino, per il futuro dello Strega finalmente millennial.

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