Pubblico alle Gallerie degli Uffizi di Firenze (foto LaPresse)

Così i musei italiani si preparano al turismo che verrà

Valeria Sforzini

Parlano i direttori degli Uffizi di Firenze e della Fondazione Musei civici di Venezia

Il rumore delle rotelle dei trolley che fa da colonna sonora alle giornate dei residenti, le persone ammassate sui sagrati delle chiese, con pizza e bottigliette d’acqua in mano. La voce di Google maps che dà indicazioni nelle lingue più disparate che risuona ogni volta che si gira l’angolo. Le città d’arte italiane sono un crocevia di culture: mete turistiche tra le più ambite al mondo, con un numero di abitanti infinitesimale rispetto alla mole di viaggiatori che ogni giorno si riversa nelle loro vie, negli alberghi, nei ristoranti, e soprattutto nei musei e negli edifici che le hanno rese delle opere d’arte a cielo aperto. Firenze e Venezia, le Gallerie degli Uffizi e i dodici palazzi che compongono la Fondazione dei Musei Civici devono molto al pubblico internazionale che ogni anno riconferma la propria affezione alle bellezze dell’arte italiana. La chiusura forzata dovuta all’emergenza sanitaria in corso ormai da più di un mese ha imposto l’abbassamento delle serrande delle biglietterie e lo spostamento delle visite alle mostre online. La conseguenza diretta, come in molti altri ambiti artistici, è stata una perdita economica ingente sulle entrate dalla vendita dei biglietti e il fermo dei lavoratori, in buona parte in solidarietà e in smart working.

   

La fase due è ancora solo abbozzata, ma si comincia a pensare alla riapertura, al turismo che verrà, a una fruizione dell’arte più ordinata, misurata e sicura per tutti. “Siamo flessibili. Quando gli esperti e il governo ci diranno che potremo riaprire, saremo pronti a farlo. E con pochissimo preavviso”, dice al Foglio Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze dal 2015. “Agli Uffizi abbiamo inserito da diversi anni un limite di compresenze. Con un massimo di 900 visitatori, ognuno ha a disposizione 22 metri quadrati. Quindi, per quanto riguarda il distanziamento sociale negli spazi interni non ci saranno problemi. Assieme all’Università dell’Aquila abbiamo studiato un sistema che ci permette di scaglionare gli ingressi e lo abbiamo provato per quasi due anni”. Se grazie a un algoritmo e a un sistema di prenotazioni intelligente è semplice regolare l’accesso al museo, anche la visita stessa deve essere pensata e studiata in modo da non creare assembramenti. La folla ammassata davanti alla Nascita di Venere con i cellulari sguainati non si addice alle norme anti-contagio. “Abbiamo anticipato una sorta di social distancing tra i dipinti stessi, studiando una nuova disposizione delle sale, creando spazio attorno alle opere più famose – continua Schmidt - È questa l’idea che ci ha guidato nei riallestimenti delle stanze di Botticelli, di Caravaggio e adesso in quella di Leonardo”.

   

Ma il problema non è rappresentato solo dagli spazi interni alle Gallerie, secondo Schmidt, nell’era post-Covid anche il turismo dovrà cambiare e adattarsi alle nuove norme di distanziamento sociale: “tutto il tessuto cittadino e urbanistico si dovrà riadattare – spiega il direttore – all’interno degli Uffizi gli assembramenti sono minori rispetto a quelli che si formano fuori, nelle strade. Io credo che il distanziamento sociale possa fornire degli spunti per fruire la città in modo migliore, per dare vita a un tipo di turismo diverso. Per il futuro, vorremmo che i visitatori pagassero meno il biglietto, avessero la possibilità di passare più tempo all’interno del museo e tornassero più spesso. L’idea sarebbe quella di creare un turismo lento: la gente vedrebbe meno posti in un’unica vacanza, o fine settimana, ma li vivrebbe più intensamente. È misurabile, ce ne rendiamo conto anche con gli abbonamenti annuali, che abbiamo incentivato: ci sono quasi mille famiglie abbonate che tornano a visitare le Gallerie più volte all’anno. Un museo come gli Uffizi non si può vedere tutto in una volta sola. Anche io che sono il direttore, l’ho studiato e ne ho scritto, riesco a vedere cose nuove e a sorprendermi ogni volta”.

  

Anche a Venezia, tra calli strette, percorsi obbligati per chi non conosce scorciatoie e folle oceaniche riversate da navi da crociera, treni e pullman, il turismo culturale subirà un ridimensionamento necessario e inevitabile a prova di pandemia. E con lui, anche i musei della laguna si stanno muovendo per rendere fruibili in piena sicurezza i palazzi e le gallerie. “La Fondazione sta lavorando per affrontare tutte le problematiche che riguardano la tutela dei nostri visitatori – dice al Foglio Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei civici di Venezia – stiamo immaginando dispenser per mascherine e guanti, distributori di disinfettante, pos per i pagamenti contactless. Stiamo anche lavorando a una comunicazione efficace per far capire al pubblico che può visitare i musei in tranquillità, che la bellezza può essere fruita in sicurezza”. Con 52 mila residenti e oltre 25 milioni di visitatori all’anno, per Venezia e per i suoi abitanti questo periodo di isolamento, senza turisti rappresenta un momento unico di riappropriazione dello spazio della propria città. “Il nostro pubblico è molto ampio come spettro e come target. Circa il 75 per cento di questo è straniero – continua Belli – In questo momento, vorremmo agevolare con delle occasioni specifiche il ritorno dei veneziani a riprendere possesso del loro territorio storico e permettere loro di godere del patrimonio della loro città come mai hanno potuto fare. I 12 edifici che gestiamo e che sono estesi su tutta la laguna, in questo momento possono essere visitati in una maniera inedita. Venezia non è sempre stata vivibile dai cittadini, e speriamo che quando questa fase sarà superata, ritorni non un turismo disattento e distratto, ma ben organizzato, che noi accoglieremo in totale sicurezza”.

  

Quando il governo darà l’ok, le prime a riaprire saranno le collezioni permanenti, con il Palazzo Ducale, il Museo Correr e il Palazzo del vetro di Murano. Ma il lockdown da coronavirus non è stata l’unica chiusura forzata con cui si è dovuta confrontare la città. A novembre infatti Venezia è stata messa alla prova da un’acqua alta eccezionale che ha in parte danneggiato il suo patrimonio. “Vorremmo restituire al più presto alla città Palazzo Fortuny e Ca’Pesaro, sui quali si stanno svolgendo i lavori di restauro” – continua la direttrice – “La città si era mossa per raccogliere i finanziamenti necessari alla loro ricostruzione. Li riapriremo con dei laboratori, lavoreremo sul tessuto. Tutto sempre in sicurezza”. Nonostante le perdite economiche dovute alla chiusura, la fondazione rimane in salute, ma se il blocco dovesse impedire a lungo ai turisti stranieri di rientrare, il danno potrebbe essere molto importante. “Siamo sempre stati molto fieri di essere una fondazione che si autofinanzia al 100 per cento. Il 90 per cento arrivava dalla bigliettazione e il 10 per cento dagli sponsor. Siamo economicamente sani. Ora un gruppo di dipendenti è in solidarietà e la nostra ansia è capire quando potremo far tornare i nostri collaboratori al lavoro. Abbiamo da parte dei risparmi e certo, la perdita del bilancio di un mese è poca cosa, ma la proiezione da qui alla riapertura sarà molto consistente. È importante che le persone sappiano che possono tornare nei musei, che sono affidati a persone responsabili che stanno facendo il possibile per prendersi cura di loro e della loro sicurezza. Saremo in prima linea quando riapriremo”.

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