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L'immunità di gregge in libreria

Andrea Minuz

La sfida post pasquettara della cultura al virus funziona soltanto con la carta stampata. L’e-book non vale

Prendevamo per il culo Boris Johnson, ma l’immunità di gregge adesso la sperimentiamo con le librerie. E’ la sfida della cultura lanciata al coronavirus. Perderemo forse i nostri cari (semicit.), ma “moriremo imparati”. Si era in fondo già capito da tutte quelle librerie in cartongesso intraviste nei collegamenti via Skype o su Zoom. Altro che un libro all’anno, gli italiani sono un popolo di “lettori forti”. Toglietegli tutto ma non la Treccani rilegata in pelle che fa arredamento. E’ chiaro che l’industria, l’impresa, il mostruoso profitto devono aspettare, ma le librerie no. Le librerie riaprono. Martedì andremo tutti da Feltrinelli, a ingressi scaglionati, per un reading di “poesie al tempo del coronavirus®”, come un rito catartico, una gioiosa e ribelle compensazione della grigliata negata a Pasquetta.

 

  

Privato di tutte le libertà fondamentali l’italiano smette di fingersi runner, riscopre la sua vera vocazione rinascimentale, grande amante delle Belle lettere, rialza la testa, sconfigge la paura, la crisi, forse anche il virus stesso andando alla ricerca di un “bene necessario” e, com’è noto, contundente. Restarsene a casa a comprare e-book infatti non vale. Non provateci nemmeno. Niente “resistenza alla paura” con un Dostoevskij letto su Kindle. Il libro deve essere rilegato, in presenza, “fisico” (è il “contatto umano col libraio”, dicono le associazioni di categoria, ma ancora di più, come nell’autocertificazione, è la nevrosi italiana per la stampa, il malloppo di fotocopie, il certificato di laurea appeso alla parete). Si apre qui una serie di interrogativi. “Più che evasione”, dice il presidente dei librai Paolo Ambrosini, “i lettori cercano un’immersione riflessiva nella pandemia nella speranza di sconfiggerla, con le armi della comprensione” (anche se quando uscì col suo instant-book, primo tra i primi, Roberto Burioni fu linciato). Dunque, se esco di casa, vado in libreria e mi compro le ricette di Benedetta Parodi perché il pane lievitato mi è venuto male possono forse arrestarmi perché non è letteratura necessaria?

 

Non è abbastanza “cibo dell’anima”? E soprattutto, mi si potrà obiettare, potrei vedermi le repliche di “Cotto e mangiato” su Real Time o un tutorial su YouTube senza passare dal libro (vale anche per i film tratti dai romanzi). Si dovrà legiferare al più presto anche su questo. Librai, intellettuali, critici letterari lo hanno però detto a gran voce: “La cura dell’anima non vale forse quanto quella della persona?”. E per la cura dell’anima, lo sappiamo, non c’è Amazon o Netflix che tenga. Un’unica nota stonata: in un sondaggio pubblicato due settimane fa dal Messaggero, i romani mettevano in cima alla lista delle cose che più gli mancano, “passeggiate, gite, cene fuori con gli amici”. “Ciò di cui hanno meno nostalgia sono invece biblioteche e librerie”. Si sa però che i romani sono un po’ cafoni e di leggere non hanno mai avuto gran passione. Mentre il resto del paese sogna tutte le notti una chiacchierata col libraio di fiducia che resiste contro l’omologazione culturale delle grandi catene di distribuzione online.

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