Una scena di “Un maledetto imbroglio” di Germi tratto da “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”

“La casa dei ricchi”

Mariarosa Mancuso

Non tutto ciò che splende su pagina funziona al cinema. Gadda e il tentativo di riscrittura del “Pasticciaccio”

Carlo Emilio Gadda scrive alla nipote: “Ho dato ufficialmente segno del mio gradimento, e ti prego di dire che ne sono contento, se mai capitassero a Stresa (tutto è possibile) parenti o conoscenti di Germi o lui stesso”. L’educazione e la prudenza – quel “se mai capitassero a Stresa”, esteso ai parenti e finanche ai conoscenti di Pietro Germi, che aveva tratto “Un maledetto imbroglio” da “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” – sono al cento per cento Gadda. E anzi si racconta un fatterello, forse apocrifo. Invitato da Pietro Germi all’anteprima del film, e alquanto timoroso di infilarsi in una saletta di proiezione, l’ingegnere allertò un conoscente: se non mi rifaccio vivo entro l’ora tale vedi di avvertire la polizia.

 

Pietro Germi si era preso parecchie libertà, e soprattutto aveva cercato di sbrogliare l’imbroglio, o pasticciaccio che fosse. Non tutto quel che risplende sulla pagina funziona al cinema, specialmente in materia di gialli. “Repentina introduzione del delitto nel decorso della vita apparentemente normale” seguita da “multiple ipotesi di colpevolezza via via eliminate e risolte”, scrive Gadda. Conosceva la teoria, lasciava la pratica agli altri. Nel “Pasticciaccio” non c’è certezza di un colpevole, e nessun altro avrebbe osato rimandare la soluzione a un secondo volume mai arrivato.

 

Al cinema è diverso, e Gadda lo sapeva. Trovandosi in ristrettezze – aveva tentato alla maniera di Tommaso Landolfi l’avventurosa carriera dell’“anticipista”: un fisso mensile in cambio di un libro appena progettato – nel 1948 accettò di ricavare dal “Pasticciaccio” in lavorazione il soggetto per un film. S’era adattato a trovare un finale certo (uno spoiler bello e buono, quando 11 anni dopo il romanzo uscirà in volume). Da buon letterato, consegnò 80 pagine. Lunghezza smisurata, per un soggetto. E anche per un trattamento. Per avere un ordine di grandezza: 120 pagine con molti spazi bianchi è la lunghezza media di una sceneggiatura.

 

Gli dissero “taglia”, e Carlo Emilio Gadda scrisse “La casa dei ricchi”, appena uscito da Adelphi nella nuovissima collana “Microgrammi”. Pensateli come e-book “sostitutivi” per far fronte alla chiusura delle librerie (ci sono anche un Simenon, un Naipaul e una Shirley Jackson). In apertura, un esilarante “Indice dei momenti visivi del soggetto” che trascina il “Pasticciaccio” come noi lo conosciamo in un romanzo d’appendice: “La zia moribonda e i due anelli” / “Liliana mostra a Virginia i suoi gioielli. è visitata dalla contessa Tantardini con la Gina” / “Lavinia, ragazza amante del Retalli, depista i carabinieri e lo raggiunge alla torre”.

Poi, per ognuno dei 40 “momenti visivi”, lo svolgimento. Con suggerimenti anche di inquadratura e di regia, nelle scene drammatiche. Ad esempio lo smarrimento – che poi si si rivela rapimento – della cagnetta Lulù, ai giardini con la cameriera. Precisa l’ingegner Gadda: “In primo piano tra le gambe e le scarpe dei passanti (fotogrammi non oltre i ginocchi dei passanti). Due misteriose, paurose mani afferrano la bestiola”.

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