Albert Uderzo è morto oggi a 92 anni (foto LaPresse)

Il mondo si aprirà di nuovo, e torneremo a viaggiare come Asterix e Obelix

Roberto Gagnor*

La vita perfetta di Albert Uderzo, inventore di un mondo fantastico che ha fatto ridere e farà ridere milioni di persone. E che se ne è andato nel sonno, come uno scherzo in una sceneggiatura del suo amico Goscinny

Il villaggio gallico di Asterix è un posto bellissimo. Lo circondano boschi ombrosi, ricchi di cinghiali e di vischio utile ai druidi, ma vi si trovano anche svariate pattuglie romane comodamente malmenabili. È controllato a vista da quattro accampamenti romani dai nomi deliziosamente calemboureschi, da “Babaorum” (Babà al rum!) a “Petibonum” (Petit Bon Homme!), i cui centurioni tentano invano di contenere gli irrefrenabili Galli del villaggio stesso. È a pochi passi dal mare della Bretagna, da cui si può partire per andare ovunque, dalla Britannia in cui ogni battaglia si ferma alle cinque del pomeriggio per bere acqua calda, alla Grecia già meta turistica in epoca romana; o addirittura scoprire prima di tutti un Nuovo Mondo. Le sue rocce diventano comodi menhir, improbabili soprammobili o utili armi da lancio, a condizione di essere caduti da piccoli nel paiolo della pozione magica.

  

Se avete letto almeno un albo di Asterix, avrete colto tutte le citazioni. Se non ne avete letto neanche uno, ce l’ho con voi e vi invidio allo stesso tempo, perché conoscerete un intero mondo. Anzi, un universo, creato da due dei più grandi fumettisti di tutti i tempi. Uno era lo sceneggiatore, René Goscinny, morto già nel 1977 per un attacco cardiaco dopo una sessione sulla cyclette (come ho sempre sospettato, l’attività fisica fa malissimo). L’altro era il disegnatore, Albert Uderzo, morto la scorsa notte a 92 anni. Goscinny e Uderzo sono stati per me due maestri inarrivabili. Li ho conosciuti a sei anni, quando i miei nonni mi hanno regalato Asterix Gladiatore e io ho capito che potevano esserci fumetti diversi dal mio amato Topolino – con cui ho imparato a leggere e per cui scrivo storie da diciassette anni – ma altrettanto grandiosi. Fumetti di cui puoi innamorarti infinite volte, perché Asterix è un classico come lo definiva Italo Calvino: un’opera che non ha mai finito di dire quello che ha da dire.

  

Lo leggi a sei anni e ridi, semplicemente. Obelix scaraventa un romano oltre uno steccato, raccoglie gli elmi per scommessa o stende un cinghiale con un pugno. Asterix punisce Romani carogneschi, Normanni ottusi e Goti avidi di potere con l’astuzia e un sorso di pozione magica. Alla fine, poi, lui e Obelix surclassano anche Giulio Cesare.

 

Lo leggi a tredici anni e inizi a cogliere qualcosa in più. C’è una vignetta in cui i pirati – colati a picco, di proposito o per caso, a ogni viaggio – salutano il loro relitto che affonda. Una vignetta che somiglia stranamente a un quadro che hai visto sul libro di Storia dell’Arte a scuola. Già, perché è una perfetta citazione della Zattera della Medusa di Géricault, con tanto di battuta rivelatoria del pirata: “Mi hanno medusato!”

  

Lo leggi a diciotto anni e scopri che quelle due figure su un bassorilievo all’entrata dello stadio olimpico di Atene (dove i Galli vanno ai Giochi in quanto Romani, con una clamorosa, strafottente giustificazione: “Ci hanno invasi, quindi siamo Romani anche noi, quindi possiamo gareggiare!”) sono Uderzo e Goscinny, che si danno del “despota” e del “tiranno”.

 

Lo leggi (o meglio, “continui a rileggerlo”) a trent’anni, quando fai fumetti di mestiere, e capisci quanto Uderzo e Goscinny abbiamo plasmato questo medium. Quanto abbiano giocato di citazioni, meta-fumetto, costruzioni grafiche e narrative strepitose. Quanto abbiano portato la parodia ad arte, come nel dépliant – di pietra! – che pubblicizza il Regno degli Dei, un complesso residenziale che i Romani costruiscono per normalizzare – oggi diremmo gentrificare – i Galli, e che si trova “a sole sei settimane da Roma!”. Quanto l’ironia mai crudele, sempre intrisa di bonaria comprensione delle umane manchevolezze di Goscinny, e il tratto pulito, brillante, vitalissimo di Uderzo siano tutto quello che serve per fare fumetti, umoristici e non solo. A volte basta uno stacco tra una vignetta e l’altra, o un tormentone (i Normanni hanno tutti i nomi che finiscono in -af, per cui quando Obelix ne picchia uno e si sente un PAF, qualcuno fuori campo grida “Mi avete chiamato?”). O una citazione storica sempre accurata, fin dai nomi: i finali in -ix dei Galli derivano da Vercingetorige, anzi, Vercingetorix, cioè rex. Sì, quello che nella primissima vignetta della serie “getta le armi ai piedi” di Cesare. O meglio, sui piedi di Cesare, che ulula di dolore.

 

Insomma: Asterix e Obelix mi hanno insegnato tantissimo. Recuperare uno dei pochi albi che mi mancava – o ricomprarne uno con qualche scusa – è sempre stata un’emozione. Ma Uderzo è morto, Goscinny è morto e, citando Woody Allen, neanch'io mi sento bene: perché la testa è piena di pensieracci, come quella di tutti noi, in questi giorni.

 

Giorni in cui la tentazione di ritirarsi in un mondo di fantasia è ancora più forte del solito, anche per quelli che, come me, non vedono l’ora di scappare nei mondi immaginari anche in condizioni normali – e infatti lo fanno per lavoro. Il mondo là fuori è inaccessibile, inquietante e sembra andare a pezzi giorno dopo giorno. E allora accendiamo la tv, cerchiamo un film in streaming, leggiamo un libro o un fumetto. Ma arriva anche la morte di Uderzo, e lo sconforto è ancora maggiore. Perché se anche i grandi, i meravigliosi, se ne vanno proprio adesso, cosa possiamo fare, noi?

  

 

Possiamo pensare, come il mio collega Tito Faraci su Twitter, che anche noi siamo Galli assediati e dobbiamo avere fiducia nei druidi. Possiamo pensare, come diceva un mio amico in una chat di sceneggiatori su WhatsApp (sì, esistono anche quelle e sono postacci meravigliosi), che alla fine Uderzo ha fatto una gran bella vita. È morto a novantadue anni, dopo aver passato la vita a fare il lavoro che voleva fare, con gioia. Inventandosi un intero universo che l’ha reso ricco e famoso, ma soprattutto ha dato risate, divertimento e gioia a milioni di persone per decenni, e che continuerà a farlo anche dopo di lui. Ed è morto nel sonno, un passaggio dolce, gentile. Come uno scherzo in una sceneggiatura del suo amico Goscinny: la realtà è strana, ma ci si può ridere sopra. Un finale triste, ma forse, bellissimo. Un finale che Uderzo merita.

 

Ma oltre a pensare, possiamo fare. Noi sceneggiatori possiamo continuare a divertire chi ci legge, perché al mondo c’è bisogno di legionari scaraventati via, pirati affondati e barbari presi a sberle. E tutti noi possiamo andare avanti. Perché il mondo si aprirà di nuovo, che sia in Britannia o nella terra dei Goti, nella Svizzera dove le orge si fanno con la fonduta o nella Corsica dove si litiga su tutto; e torneremo a viaggiare come Asterix e Obelix, per vincere una scommessa con un Romano ottuso, salvare un amico rapito (anche se è un bardo dalla voce cacofonica) o semplicemente conoscere posti e persone nuove. Perché persino un intero impero non fa paura, se hai una pozione magica fatta di ottimismo, curiosità e fiducia, come Asterix. Perché la pozione magica siamo noi e nessun accampamento romano ci fermerà mai. Perché torneremo a sconfiggere ogni nemico, per poi tornare a casa a festeggiare davanti al fuoco, divorando cinghiali arrosto, tra boschi ombrosi e lune limpide. In un mondo disegnato da Albert Uderzo.

 

* Roberto Gagnor è uno sceneggiatore Disney

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