Roger Scruton, filosofo e saggista inglese, è scomparso a 75 anni. Qui il Principe Carlo lo insignisce del titolo di baronetto (foto LaPresse)

Il pessimista gioioso

Giulio Meotti

Fustigatore dell’occidente che odia se stesso, Roger Scruton è stato il filosofo malinconico e clandestino dell’Europa comunista e di quella conformista. Un fogliante d’adozione

"Arrivai in Polonia nel 1979: il paese stava ribollendo a causa dell’elezione di Karol Wojtyla al trono di San Pietro. C’era il Papa polacco, c’era questa rinascita del sentimento religioso, c’era la sensazione che qualcosa stesse cambiando, che il terreno cominciasse a tremare. Ma scendendo dal treno a Cracovia, il silenzio totale. E’ stata la cosa che mi ha colpito di più. Dappertutto, silenzio. Se andavi in un bar o in un ristorante la gente borbottava o sussurrava, non c’era un vero rumore. Il rumore della vita umana si era spento”. La vita di Roger Scruton è stata segnata da una doppia dissidenza, prima nell’Europa orientale dietro la Cortina di ferro, poi in quella occidentale dietro la cortina di ferro accademica, fatta non di torri di avvistamento e cavalli di frisia, ma di diktat e veti ideologici.

 

Era anglicano fino al midollo come T.S. Eliot a Londra viveva nel palazzo che fu di Byron, Isaiah Berlin e Huxley

Domenica sera, alla notizia della sua scomparsa a 75 anni per un cancro fulminante, si sono susseguiti gli omaggi della cultura e della politica inglesi. “Era una delle menti più brillanti nel mondo anglofono, un gigante intellettuale”, ha detto l’ex rabbino capo del Regno Unito Jonathan Sacks, che fu suo allievo. “Abbiamo perso il più grande pensatore conservatore moderno, che non solo ha avuto il coraggio di dire quello che pensava, ma che l’ha detto in modo splendido”, ha twittato il premier Boris Johnson. Di “una delle più grandi menti del nostro tempo” ha parlato lo storico ed economista Niall Ferguson. E anche un liberal come Timothy Garton Ash ha detto che Scruton era “un uomo di straordinario intelletto, un grande sostenitore dei dissidenti mitteleuropei e il tipo di pensatore conservatore e provocatorio – e a volte oltraggioso – che una società veramente liberale dovrebbe essere contenta di avere”.

 

“Perché sei conservatore?”. “Perché sono un pessimista”, rispondeva Scruton. Una malinconia churchilliana era il suo balsamo, tanto da titolare l’autobiografia “Gentle Regrets”. Arrivò a tessere l’elogio del buon pessimismo contro l’utopismo postmoderno. Giudicato dal New Yorker come “uno dei più influenti filosofi al mondo” e definito con non poca enfasi dal Weekly Standard come “il conservatore inglese più significativo dai tempi di Edmund Burke”, Scruton era uno dei pochi pensatori in grado di lacerare tabù senza generare viscerali antipatie, senza diventare molesto. Usava l’eleganza come pudore e con una sorta di pessimismo gioioso ci si puliva le lenti. “Il confine tra il vero e il falso, tra l’opinione e la realtà, tra il pensiero e la stronzata è stato distrutto, e nessuno sa davvero come ricostruirlo”, aveva scritto un paio di anni fa. 

 

 

Insignito del titolo di baronetto dalla regina Elisabetta, Scruton trasudava Old Britain, a cominciare dalla sua casa in cima a tre rampe di scale in pietra ad Albany, Londra, con l’abbaino di fronte a Fortnum & Mason, un tempo dimora di Lord Byron, Isaiah Berlin e Aldous Huxley. Tutti gli riconoscono di aver costituito l’anima culturale della rivoluzione di Margaret Thatcher (anche se Scruton trovò piuttosto casa fra i conservatori dello Spectator e del Telegraph). “Quando lei prese il potere nel 1979, la Gran Bretagna era in uno stato terminale” ricorderà. “I sindacati, che avevano il potere di abbattere i governi eletti, erano occupati ad accumulare privilegi. Mandarini socialisti regnavano nel servizio civile e metà del prodotto interno lordo era assorbito dalla spesa pubblica. L’industria era paralizzata dagli scioperi e interi settori dell’economia erano protetti dalla competizione e versavano in bancarotta. Sul comunismo, i nostri leader mantenevano un silenzio imbarazzato. In breve, l’Inghilterra si era arresa, capitolando in una specie di senso di colpa collettivo”. L’accusa che Scruton fece ai Tory fu di parlare la lingua di legno della cultura di sinistra. Accusa che rivolgerà loro anche sulla Brexit, di cui Scruton è stato il filosofo per eccellenza.

 

Fu arrestato e cacciato dalla Praga dei carri armati sovietici. A Londra radunò Milton Friedman, Driedrich Hayek e Margaret Thatcher

Faceva risalire le sue idee conservatrici ai disordini parigini del maggio ’68, quando da una finestra del Quartiere latino vide passare gli studenti che tiravano pietre alla polizia: “Mi resi improvvisamente conto di essere dall’altra parte. Quello che vedevo era una folla ribelle di teppisti borghesi auto-indulgenti. Ne fui disgustato, e pensai che ci doveva essere un modo per tornare a difendere la civiltà occidentale da queste cose. Fu allora che diventai un conservatore. Sapevo di voler conservare le cose piuttosto che tirarle giù”. Con lui se ne va un altro di quei vecchi conservatori coltissimi e inclassificabili che ancora vagavano nella cultura occidentale, i Kenneth Minogue, i René Girard, i Bernard Lewis, le Gertrude Himmelfarb, gli Harold Bloom. “Una sorta di isteria di ripudio infuria nei circoli europei che creano l’opinione pubblica e prende di mira una a una le antiche e consolidate abitudini di una civiltà bimillenaria, proponendole e distorcendole in una forma caricaturale che le rende appena riconoscibili”, aveva scritto.

 

Nel 1984, come direttore del Salisbury Review, Scruton pubblicò l’articolo di un preside di Bradford, Ray Honeyford, che sosteneva che l’educazione multiculturale era dannosa per i bambini immigrati. Fu uno scandalo. L’Associazione britannica per il progresso della scienza accusò la rivista di razzismo e il dipartimento di Filosofia dell’Università di Glasgow boicottò un discorso che Scruton era stato invitato a tenere alla sua società di Filosofia (l’università lo stesso giorno conferirà una laurea ad honorem a Robert Mugabe). Era sempre un passo avanti rispetto alla realtà.

 

Nato il 27 febbraio 1944 a Buslingthorpe, Lincolnshire, Scruton disse che Jeremy Corbyn gli ricordava suo padre, un insegnante socialista di scuola elementare che aveva vietato ai figli di leggere Beatrix Potter perché “borghese”. Studiò alla Royal Grammar School, High Wycombe, da cui venne espulso per aver messo in scena uno spettacolo teatrale in cui una ragazza seminuda saliva su un palco in fiamme. Assunto come docente di Filosofia dal Birkbeck College di Londra, diventò in seguito professore di Estetica. Resistette ai tentativi di introdurre più Foucault nel curriculum.

 

Iniziarono poi le sue famose peregrinazioni a Praga per tenere conferenze segrete con il dissidente e filosofo ceco Julius Tomin. Quando riaccompagnò Tomin a casa vi trovò ad attenderlo un poliziotto che si rifiutò di farlo entrare e lo spinse giù per le scale. Fu arrestato e buttato fuori dal paese. Si immerse nella cultura ceca. “Negli anni 80, Roger Scruton ha organizzato iniziative e raccolte di fondi per i dissidenti dell’Europa orientale, io ero uno dei corrieri che lo aiutavano a contrabbandare oltre la Cortina di ferro e sono ancora grata per quello che Roger ha fatto per loro e per me”, ha scritto ieri la storica Anne Applebaum. Sono anche gli anni in cui le sue rubriche sul Times ne fanno una nemesi per l’élite liberal inglese. Poi l’incarico di professore di Filosofia alla Boston University negli Stati Uniti, dove aveva scoperto che alcuni dei suoi studenti possedevano “quel residuo di cultura europea che la maggior parte dei giovani inglesi non aveva più”. Dirà: “Tutti coloro che credono nel futuro sono tentati di emigrare negli Stati Uniti”. Vaclav Havel accorreva ad ascoltarlo appena arrivata a Praga. Imprigionato, espulso e inserito nell’Indice delle persone indesiderabili nel 1985, Scruton avrebbe continuato la sua attività in Ungheria e in Polonia, immergendosi in quel mondo di censura e terrore intellettuale.

 

L'establishment accademico inglese arrivò a odiarlo e a chiedere agli editori di non pubblicare più suoi libri e a ritirarli dal commercio

Con il deputato Tory Hugh Fraser, fondò il Conservative Philosophy Group e invitò i grandi conservatori del tempo, Friedrich Hayek, Milton Friedman e Michael Oakeshott, tra gli altri. Anche Margaret Thatcher era spesso presente. L’establishment accademico prese a detestarlo. “Ho incontrato per la prima volta l’odio velenoso che queste persone gli rivolgevano nella primavera del 1987”, ha scritto ieri il sociologo Frank Furedi. “Ero seduto nella sala del mio college, sfogliando una copia del suo libro ‘Art and Imagination’, quando uno dei miei colleghi mi ha chiesto: ‘Perché leggi quella merda?’”. Scruton ricambiò loro il favore con trecento pagine in cui passava in rassegna Jacques Lacan (“poteva avere dieci clienti in un’ora, a volte in presenza del parrucchiere, sarto e pedicure”), Jürgen Habermas (“seppellisce il messaggio di sinistra sotto pagine e pagine di esitazioni burocratiche”) e Alain Badiou (“usa il gergo della teoria degli insiemi per dare autorità a salvataggi metafisici a dir poco incomprensibili”). Nacque il libro “Fools, Frauds and Firebrands: Thinkers of the New Left”. Un accademico scrisse all’editore Longman per sconsigliare alla società editrice di pubblicare in futuro qualsiasi cosa di Scruton; un altro chiese che le copie rimanenti del libro fossero rimosse dalle librerie. Il suo editor al Times affermerà che nessun altro articolo aveva provocato più rabbia. Alcune delle sue lezioni dovevano essere annullate perché i consigli comunali non potevano garantirne la sicurezza. “Mi è costato molte ore di lavoro, cause legali, due interrogatori, la perdita di una carriera universitaria in Gran Bretagna, il sospetto tory e l’odio liberal ovunque”, avrebbe detto. “E ne è valsa la pena”. 

 

 

Andava a caccia di volpi e suonava l’organo nella sua chiesetta anglicana di campagna (le dedicherà anche un libro, “Our church”). Sempre sottovoce, sempre con stile dimesso e raffinato insieme, Scruton era anglicano fino al midollo, sullo stile dei Trollope, degli Eliot, dei Macaulay, quelli che lasciarono tracce profonde nella vita intellettuale inglese (Scruton scrisse un saggio sul poeta T. S.). Spaziava dalla musica classica all’architettura, dal kitsch al desiderio sessuale, diventando come ha scritto la New York Review of Books “il più significativo filosofo britannico dell’estetica degli ultimi cinquant’anni dopo Richard Wollheim”.

 

Hard brexiteer e amico di Viktor Orbán, su Trump tagliava corto: "Non ha pensieri più lunghi di 140 caratteri"

Se i populisti, per usare l’approssimazione resa popolare da David Goodhart, sono i “somewheres” (chi vuole essere parte di qualche luogo), Scruton li incarnava. Aveva persino trovato casa in una fattoria nel Wiltshire, circondato da cavalli, labrador e anatre, che curava con una moglie deliziosa e di trent’anni più giovane di lui, Sophie Jeffreys, da cui ha avuto due figli. La chiameranno “Scrutopia”. Ma lo fece sempre senza ostentare disprezzo né superiorità morale rispetto, sempre per citare Goodhart, agli “anywheres”, i senza radici. Dopo la strage a Parigi del 7 gennaio 2015 aveva detto che “siamo tutti Charlie Hebdo” gli suonava falso, retorico, vuoto. “La prima reazione degli occidentali non è mai stata la lealtà verso il proprio mondo, quanto l’appeasement al terrorismo. ‘Siamo tutti Charlie Hebdo’ significa questo: lasciateci in pace, lasciateci vivere le nostre vite”.

 

Un anno fa, il licenziamento da presidente del Building Better, Building Beautiful, la commissione sull’edilizia, a seguito di un’intervista rilasciata a George Eaton, vicedirettore del New Statesman, che avrebbe festeggiato così sui social: “La sensazione quando si ottiene il licenziamento del razzista di destra e dell’omofobo Roger Scruton”. Poi è emersa la trascrizione ed era chiaro che le parole di Scruton sui cinesi, l’islam e George Soros erano state orrendamente manipolate. La rivista gli fece le sue scuse e Scruton venne rinominato presidente. Nonostante la fama, rimase sempre quell’accademico a proprio agio “più all’ateneo di Lublino che a Cambridge”. Era un brexiteer di quelli hard e un amico di vecchia data di Viktor Orbán, ma su Trump tagliava corto: “Non ha pensieri più lunghi di 140 caratteri”.

 

La sua Salisbury divenne la nemesi del Peace Movement, sostenne i cristiani in Africa e in medio oriente lanciando anatemi contro il femminismo, la decostruzione e l’egualitarismo scolastico. “Divenne un onore per gli intellettuali di lingua inglese dissociarsi da me”. Col Foglio aveva stretto un piccolo sodalizio fatto di tante interviste, interventi e incontri. Possedeva la famosa “comune decenza”, tanto cara a George Orwell, che gli aveva trasmesso quel padre così ideologicamente diverso da lui. “Se non siamo disposti a difendere la cultura che ha prodotto Ludwig van Beethoven, George Eliot e Lev Tolstoj, che cosa mai dovremo difendere?”, diceva quando gli si domandava della faglia fra occidente e islam.

 

Due anni fa, assieme a Rémy Brague e Robert Spaemann (un altro che ha lasciato un vuoto non da poco), Scruton lanciò una dichiarazione per salvare  l’Europa dalla “distruzione culturale”. L’ultimo suo testo che abbiamo pubblicato poche settimane fa si intitolava “In difesa della civiltà occidentale”. Aveva persino coniato un termine, entrato poi nel lessico: “oicofobia”, l’odio di sé. Ha sempre coltivato l’elegia, mai il risentimento. Come nelle ultime righe che aveva consegnato allo Spectator, quando il cancro lo aveva già inchiodato a una sedia a rotelle e gli aveva tolto i famosi capelli color ruggine: “Avvicinandoti alla morte cominci a capire cosa significhi la vita e quello che significa è la gratitudine”. Noi la proviamo per quello che lui ci ha dato.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.