Elogio del giornalista ironico: Lorenzetto e il suo dizionario delle citazioni sbagliate

Salvatore Merlo

Ecco un compendio salace e colto con il quale il giornalista fa per l’appunto la smorfia alla smorfia citazionista, che è uno dei tic del cretino intelligente

Un giorno Gianfranco Piazzesi, che era un giornalista come dev’essere un giornalista, cioè fantasioso e un po’ insolente, chiese a Franco Evangelisti, che era l’ombra rozza ed eterna di Giulio Andreotti, quali fossero mai le ragioni d’un avvicendamento all’interno d’una grande azienda pubblica. Ed Evangelisti, romano di scarse letture, gli rispose così: “Lo abbiamo sostituito perché stasa”. E Piazzesi, canzonatorio, riportò la risposta così come l’aveva sentita: “Stasa”, appunto, cioè stura.

 

Che fine hanno fatto i giornalisti alla Piazzesi? L’ironia è oggi una pulce, in tempi totalmente occupati dal pachiderma dell’eccesso, dell’abnorme, in cui vige un codice fatto di “slurp”, “lecca-lecca”, essudati, nomignoli, pernacchie e flatulenze che sono l’esatto contrario del codice dello sberleffo e della ribalderia: una tirannia forse inestirpabile e nei confronti della quale viene sovente voglia di dichiararsi sconfitti. Eppure, qua e là, ci sono ancora giornalisti che l’ironia la praticano – per indole e per mestiere – ricordandoci ogni volta come questa virtù non sia soltanto la migliore tradizione del giornalismo italiano, ma probabilmente anche una veste dell’anima, che si accoppia con il distacco e la distanza, la sobrietà e la leggerezza.

 

Leggendolo, da anni e con grande gusto, bisogna dire che Stefano Lorenzetto è uno degli ultimi appartenenti a questa grande razza condannata eppur indispensabile, quasi i pellerossa o i pigmei: i giornalisti spiritosi e fantasiosi, dunque non di sinistra ma nemmeno (come si dice oggi) sovranisti, uno di quelli che sembra ricordarci in ogni sua riga, come diceva Elemire Zolla, che l’eccesso è segno del contrario di ciò in cui si eccede. Un esempio è proprio questo delizioso dizionario delle citazioni sbagliate (“Chi non l’ha detto”, edito da Marsilio), trecentonovanta pagine tra le quali zampettare ridacchiando, da Andreotti a Zoroastro da Peretola, un compendio salace e colto con il quale Lorenzetto fa per l’appunto la smorfia alla smorfia citazionista, che è uno dei tic del cretino intelligente. Quanto sono belli certi aforismi di Ennio Flaiano, tipo quando scrisse che “i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. In verità, ci ricorda Lorenzetto, la frase è di Mino Maccari. Però bisogna ammettere che attribuirla a Flaiano fa molta più scena. E infatti Flaiano, purtroppo, assieme a Leo Longanesi e Indro Montanelli, è diventato una banalità e un’impostura sulla bocca dei banali. E insomma Lorenzetto ha così composto un dizionario dal valore persino pedagogico. Ma con levità, appunto. Va comprato per Natale. E letto. Ci fa pure riflettere su come potremmo essere, e non siamo più.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.