Il fumetto è liberare tutto. La Celestia generazionale di Manuele Fior

Gianmaria Tammaro

C’è un fil rouge che unisce la città creata dall'autore, sorella gemella di Venezia, con le città create da Hayao Miyazaki. Parla il fumettista e illustratore

“Ho sempre bisogno di una cornice solida per cominciare le mie storie”, dice Manuele Fior, fumettista e illustratore, classe ’75, di Cesena. “Sotto la doccia mi è venuta in mente Venezia, un posto dove ho vissuto più di vent’anni fa”. In Celestia, primo numero di due, edito da Oblomov, l’umanità si è rifugiata in una città-isola, antica e moderna, piena d’acqua e di pietra, oscura e, allo stesso tempo, luminosissima. Ci sono telepati, persone che leggono nelle mente e nel cuore; ma la loro telepatia è più simile a un istinto, a un riflesso.

 

“In Celestia ci sono tanti rimandi alla vera Venezia”, spiega Fior. “Volevo che nel lettore resistesse una sorta di ambiguità”. Ed è da questa scintilla, poi, che è divampato l’incendio della creatività: “Tante cose cominciano ad arrivare da sole: i personaggi, la storia, gli altri luoghi; il desiderio di andare via”. Siamo in un presente alternativo, diverso e contemporaneamente simile al nostro, dove un’invasione dal mare ha decimato la popolazione.

 

C’è un fil rouge che unisce la città creata da Fior, sorella gemella di Venezia, con le città create da Hayao Miyazaki, il regista giapponese. La loro concretezza, per esempio. La cura dei dettagli. Il calore palpabile degli ambienti. “È una cosa che mi ha sempre sedotto dei suoi lavori. A cominciare, credo, da Conan – Il ragazzo del futuro. Il viaggio dell’eroe ambientato in posti totalmente diversi. Ho cercato di fare lo stesso con quest’isola e con quello che le sta attorno”. Ovvero una terraferma piena di campagna, di lunghi campi dorati, e di castelli. “Si vive separati, nel mondo di Celestia. Si sta nei castelli perché fuori è pericoloso. Ma chi abita nei castelli ha perso totalmente il senso della realtà”.

 

In questo libro ritorna anche lui, l’autore: “Celestia è una specie di organismo fatto da tante cose. E in queste cose, ci sono le mie passioni e i miei riferimenti, c’è il mio passato e c’è quello che ho vissuto mentre facevo questo fumetto. Come la nascita di un figlio”. Proprio alla fine, compare un nuovo personaggio, che s’affianca ai due protagonisti, Pierrot e Dora, e che è un bambino. “Volevo raccontare il rapporto tra generazioni. All’inizio del libro, troviamo il rapporto tra la generazione di Pierrot e quella di suo padre. Poi c’è il rapporto tra la generazione di Pierrot e l’ultima, quella più giovane. Ed è proprio questa che sembra avere più consapevolezza di tutti”.

 

Tra le pagine di Celestia si legge la velocità del movimento di Dora e Pierrot, si legge la loro fisicità, la loro paura, il freddo che provano. E poi c’è la bestialità dell’uomo quando Pierrot si abbandona alla violenza. “Anche questa fa parte dell’umanità, e nelle storie la violenza può diventare un motore per i personaggi. Personalmente ne ho l’orrore, ma credo che nei libri debba essere liberata”. Perché? “Perché nei libri va liberato tutto quello che non possiamo liberare nella vita di ogni giorno”.

 

L’arte del fumetto, spiega Fior, sta nel bilanciare tre cose: immagini, scritte e ritmo. “Quando giri pagina devi trovare un mondo capace di sorprenderti. Il momento più bello è quando inizi a lavorare a una nuova storia, e hai tante porte che si aprono davanti a te. Quello più difficile, invece, viene a metà: comincia la stanchezza e ti viene quasi voglia di non continuare”. Finire un libro, invece, che vuol dire? “Significa dare un giudizio a quello che hai fatto e al periodo che hai passato a farlo. Uno dei primi consigli che mi ha dato Igort, il mio editore, è stato: tieni delle energie per il finale, perché il lettore ti perdonerà un errore all’interno del libro ma non ti perdonerà un finale sbagliato. Un libro si mangia il tuo tempo, la tua vita, le tue energie, e il rapporto che hai con le altre persone. È importante finirlo bene”. E allora perché raccontare una storia, se c’è così tanto da sacrificare? “A me sembra d’essere venuto al mondo per questo. Per me fare i fumetti dà un senso al passare del tempo, ti ricompensa con un significato”. E mettere ordine, continua Fior, tiene lontana la paura.

 


Illustrazione tratta dalla pagina Facebook dell'autore


 

Ma a chi appartiene un fumetto, al suo autore o a chi lo legge? “Nel corso di questi anni, ho pensato sempre di più ai lettori. Il risultato migliore che puoi ottenere con un fumetto è di avere l’impressione che la storia non sia più tua, che non sia nata da te, ma che tu l’abbia trovata, quasi dissotterrata. E come la troverò io, potrà trovarla anche il lettore. In questo modo, siamo allo stesso livello e siamo vicini. Ed è questo il senso del mio lavoro: riavvicinarsi”.

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