Marina Valensise, La Temeraria, Marsilio

L'irresistibile impresa di raccontare Luciana Frassati Gawronska

Marina Valensise

Dalla guerra alla resistenza polacca, tra fughe, magie e rinascite. La storia di una donna che ha attraversato tutto il novecento, vivendo molte vite

L’idea era irresistibile. Scrivere la biografia di Luciana Frassati Gawronska, un’italiana dalla vita avventurosa, una ragazza cosmopolita, anticonformista, ribelle, che diventa una donna generosa, energica fino allo spasimo, pronta a rischiare in proprio, pur di salvare vite umane, rimaste strette nella morsa dell’occupazione nazista. Disposta a correre in soccorso di parenti e amici, e persino a mettersi a tramare per la resistenza, portando soldi oltreconfine, raccogliendo informazioni per il governo polacco in esilio, incurante dei rischi, dei controlli della Gestapo, della tortura alla quale era destinata, e persino del mandato di arresto spiccato contro di lei da Herbert Kappler nei mesi di Roma città aperta. Insomma la figura coraggiosa di una donna bellissima, curiosa, infaticabile, piena di fascino e in più di ottima famiglia. Figlia del fondatore della Stampa di Torino, sorella di un giovanotto sportivissimo e molto religioso che muore d’improvviso a soli 24 anni in odore di santità, moglie di un diplomatico polacco educato dai benedettini di Downside. Si erano conosciuti a Berlino, all’inizio degli anni Venti, quando il padre di Luciana era stato mandato da Giolitti come ambasciatore del Regno d’Italia, e in seguito erano partiti in missione diplomatica all’Aja, a Istanbul negli anni rivoluzionaria della modernizzazione di Ataturk, a Vienna ai tempi di Dollfuss che porteranno all’Anschluss, e infine a Varsavia, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, che finirà per sconvolgere le loro vite. Irresistibile tuffarsi nella vita di una donna che ha attraversato tutto il Novecento, dalla guerra di Libia alla caduta del Muro di Berlino, vivendo molte vite in una, e tutte diverse l’una dall’altra, come le facce di un prisma colorato in cui si riflettono le vicende di un secolo segnato da due guerre mondiali, da varie rivoluzioni, colpi di stato, molti rovesci di fortuna, drammi umani e tragedie politiche inesorabili.

La vita di una donna che ha attraversato tutto il Novecento, dalla guerra di Libia alla caduta del Muro di Berlino, vivendo molte vite

 

Morta ultracentenaria nel 2007, la protagonista di questa vita avventurosa era anche la madre di un mio amico caro, pronto con suo fratello e le quattro sorelle ad aprirmi le porte del suo archivio privato, conservato in Piemonte, nella casa di famiglia a Pollone. Capirete dunque che tutte le condizioni erano riunite per lasciarsi tentare dall’impresa. Così, rientrata a Roma dopo quattro anni a Parigi come direttore dell’Istituto italiano di cultura, ritrovandomi per di più senza lavoro, per le note dinamiche nostrane, accettai la proposta. Mai avrei pensato di dedicare tre anni tanto intensi alla storia d’Europa nel XX secolo, di ricostruire l’ambiente torinese di fine Ottocento, e le ambizioni di una classe dirigente pionieristica come quella liberale, che all’indomani dell’Unità guardava all’Europa, cercando ispirazione in Gran Bretagna e in Germania per innovare, creare valore e produrre ricchezza senza trascurare la giustizia sociale. Senza sapere nemmeno una parola di polacco, e grazie alla pazienza dell’ex console di Polonia a Roma, Anja Kurdziel, che traduceva per me un’infinità di saggi e articoli, ho finito per appassionarmi alle vicende della Repubblica indipendente di Polonia, nata all’indomani della Grande guerra, dopo più di cent’anni di spartizione tra Impero russo, asburgico e prussiano. Ho indagato sul Prometeismo, la teoria dei due mari, con cui all’epoca di Pilsudski la diplomazia polacca cercava di liberarsi dall’accerchiamento russo-tedesco, puntando sull’asse tra il Baltico e il Mar Nero, e affidando ai suoi elementi migliori missioni spregiudicate, come quella che compierà Jan Gawronski in medio oriente, per fomentare il nazionalismo nelle minoranze autoctone delle Repubbliche sovietiche del Caucaso. E non parliamo poi dell’Austria Felix, dove Luciana approda al seguito del marito, dopo la fine dell’impero asburgico, quando Stefan Zweig e Hermann Broch, Alma Mahler e Franz Werfel, che diventano i suoi amici, vivevano come sopravvissuti, danzando sull’orlo di un nuovo abisso. Vienna fu per lei anche il teatro del legame privilegiato con un antifascista universalmente noto come Arturo Toscanini, che frequentava la legazione polacca sull’Argentinierstrasse per evitare i rappresentanti del governo italiano, e mal sopportava l’amicizia speciale tra la bella moglie italiana dell’inviato polacco e il suo collega e rivale, Wilhelm Furtwängler, il direttore dei Berliner Philharmoniker osannato dai vertici nazisti come un genio, come l’ultima incarnazione della grande tradizione musicale tedesca, e criticato dai nemici del nazismo come un pavido e un opportunista, incapace di resistere al potere e sfidarlo a viso aperto.

 

In questa triangolazione, il dramma esplode mentre la politica continua sullo sfondo a tessere la sua trama infernale con l’imbroglio dell’Anschluss, con il Patto di Monaco che seguì di lì a poco, e con la violenza dilaga senza freni prima con l’occupazione dei Sudeti, e poi con l’invasione della Polonia, che nel settembre di ottant’anni fa segna l’inizio della Seconda guerra mondiale. Nessuno se l’aspettava. Nessuno pensava a una guerra che sarebbe durata anni, sconvolgendo la vita di milioni di persone. Si sa come andò a finire, ma allora molti in Polonia la considerarono una crisi passeggera, risolvibile in un paio di settimane, non appena Francia e Gran Bretagna avrebbero mostrato i muscoli. Fra questi molti c’erano i Gawronski, che ai primi di settembre del 1939 decisero di abbandonare la loro casa sull’Aleja Szucha, per mettersi in fuga da Varsavia. Caricano quattro dei loro sei figli e due domestici su due automobili e iniziano un lungo viaggio a fari spenti nella notte, procedendo a passo d’uomo fra una teoria di camion, carri, carretti, mezzi di fortuna, sotto il tiro degli Stuka della Luftwaffe, con tanto di amico ebreo al seguito, Franz Theodor Csokor, il medico e drammaturgo conosciuto a Vienna e già sfuggito all’Anschluss, proprio grazie al “Gesandter G.”, come egli stesso ricorderà anni anni dopo in uno dei suoi saggi.

 

Temperamento energico, prepotente, presuntuosa, di carattere forte, spesso insopportabile, dall’indole volitiva

 

Piena di eventi, di incontri con personaggi illustri e grandi personalità, ricca di intrighi e palpitante di colpi di scena, la vita di Luciana Frassati Gawronska sembrava un immenso terreno di gioco su cui allestire la storia di una ragazza di buona famiglia, in cerca della propria strada, e però travolta dalle tragedie del Novecento. Era un vero romanzo, il romanzo della temeraria, una donna in cerca di un suo ruolo con cui affacciarsi alla ribalta del mondo, pronta a plasmare se stessa con una nuova identità, a sfidare ogni genere di avversità, pur di trovare una voce propria, la sua voce, una voce autentica, personale, singolare, espressione della sua tempra e della sua forza vitale. Raccontandone la vita straordinaria e le mille avventure, non solo si ricreava un libro -mondo, pieno di personaggi, di primi attori, di comparse, ma per una volta si poteva riscrivere la storia d’Europa come un’unica storia comune, che riunisce nel disastro delle passioni del Novecento tutte le nazioni del vecchio continente, Italia, Germania, Polonia, Austria, Francia, Regno Unito e persino l’Olanda dove negli anni Venti si decidevano le sorti delle nazionalità diverse dai nuovi stati creati a Versailles.

 

Insomma, non avevo scuse. In più, appena misi piede a Villa Ametis, la vecchia casa di famiglia costruita dal nonno materno a Pollone, un austero paesino del biellese, immerso nei boschi e circondato dalle montagne, ebbi la sorpresa di scoprire un’ingentissima documentazione, con fonti di prima mano, in gran parte inedite. Ordinato in venticinque faldoni, l’archivio raccolto da Luciana e religiosamente conservato dai figli contiene centinaia di lettere, testimonianze, varie versioni del dattiloscritto dell’autobiografia da lei iniziata in tarda età e sottoposta a revisione continua, e poi gli scritti e la corrispondenza relativa a “Il destino passa per Varsavia”, il suo libro di memorie sugli anni della guerra. Quel libro, pubblicato dall’editore Cappelli nel 1949, e ristampato nel 1985 dal Mulino con una prefazione di Renzo De Felice, Luciana lo scrisse a Roma nel Dopoguerra, assistita dall’amico Stanislaw Starczewski, con cui aveva condiviso tante avventure. E raccontò per filo e per segno i sette viaggi avventurosi compiuti tra il novembre 1939 e il dicembre 1942, grazie alla protezione del ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, che le aveva rilasciato un passaporto diplomatico, e con l’iniziale beneplacito del capo del governo, Benito Mussolini, che seguì quei viaggi da vicino, tenendosene direttamente informato e dandole sei volte udienza a Palazzo Venezia. Così, la temeraria si trovò ad agire come emissaria informale del generale Sikorski, capo del governo polacco in esilio. Per tre anni fece la spola tra l’Italia e la Polonia. Raggiunse a suo rischio e pericolo Varsavia occupata, soccorse parenti e amici, salvò dalla condanna a morte il nazionalista cattolico Boleslaw Piasecki, all’epoca oppositore dei nazisti, sfidò a mani nude gli ufficiali della Gestapo, e li menò persino per il naso come quando ebbe l’incredibile chutzaph, e cioè la faccia come si dice in yiddish, di far passare per sua governante la signora Zubczewska, che era invece la donna più ricercata del momento, essendo la moglie del generale Sikorski. Per mesi e mesi, come nulla fosse, continuò a vagare come una trottola per l’Europa, portando soldi ai gruppi clandestini della resistenza, prestando aiuto alle famiglie dei professori dell’Università Jagellonica, deportati da Hitler nel campo di Oranienburg, correndo in soccorso alla comunità cattolica di Cracovia, scelta dai nazisti come capitale del governatorato generale e regno ormai del tremendo avvocato Hans Frank, descritto da Malaparte in “Kaputt”, la sua “autofiction” del 1944.

 

Vienna fu il teatro del legame privilegiato con un antifascista come Arturo Toscanini. Poi l’invasione della Polonia

Dall’estate1941, quando Hitler ruppe il patto con Stalin, invadendo l’Urss, Luciana dovette fare tappa a Berlino, e continuò a sfidare la sorte cercando di rintracciare una spia, tramando con vecchi amici doppiogiochisti che finiranno malissimo e facendosi ospitare dal suo amico Franz von Papen, conosciuto a Vienna quando era ambasciatore di Hitler – un’altra figura tragica nell’Europa del Novecento: già cancelliere del Reich, era stato infatti il principale artefice dell’alleanza tra il Zentrum cattolico e il Partito nazionalsocialista che sfociò nel 1933 alla nomina di Hitler alla cancelleria. E poi da quel pozzo senza fondo che è l’archivio di Pollone, venivano fuori le lettere e gli scritti sulle raccolte di poesia, che Luciana iniziò a pubblicare nel Dopoguerra, sui saggi che all’inizio degli anni Cinquanta con l’avallo della migliore intelligencija democristiana, dedicò al fratello per ristabilire la verità sulla vita di Pier Giorgio. Dal buio del passato riaffioravano le polemiche lancinanti che accompagnarono quelle pubblicazioni: polemiche ora intime e private, a testimonianza del conflitto tra padre e figlia, scontro titanico tra due personalità irriducibili, ora pubbliche e larvate, sull’iter complesso subìto dal processo di beatificazione che iniziò a metà degli anni Trenta, che venne poi sospeso da Papa Pacelli nel 1944 e infine riaperto da Papa Montini, nel 1977, e concluso nel 1990 con Giovanni Paolo II, grazie all’indefessa opera di verità perseguita per decenni da Luciana, che raccolse quasi mille nuove testimonianze sulla vita dell’adorato Pier Giorgio.

 

Ordinato in venticinque faldoni, l’archivio raccolto da Luciana contiene centinaia di lettere e testimonianze

In fondo a questa messe di carte c’era lei, Luciana, col suo temperamento energico, la sua prepotenza, la sua presunzione, il carattere forte, spesso insopportabile, l’indole volitiva, a volte simpatica a volte antipatica, e però sempre in fermento, come se fosse animata dalla voglia di fare, sempre pronta a battersi in prima persona, e mettersi direttamente in gioco, per cimentarsi in una sfida continua con se stessa, per superarsi e dimostrare di valere, per darsi un ruolo e trovare finalmente il suo posto nel mondo. La domanda, leggendo tutte quelle carte, e cercando di decifrarne il non detto, l’implicito, e l’accessorio, per ricostruire la verità di una vita, era sempre la stessa: quanto c’è di voluto e di intenzionale nel monumento che Luciana stessa ha creato su se stessa, raccogliendo e ordinando le fonti d’archivio, per consegnarle ai posteri? E che parte ha invece il preterintenzionale? In altri termini quanto c’è di vero in quello che ci consegna Luciana e quanto c’è di verosimile? Difficile rispondere senza violare il velo di pudore che inevitabilmente riveste un lascito del genere. Perciò, sin dall’inizio, scrivere la biografia di Luciana Frassati è stata una sfida al “personaggio” che lei stessa ha contribuito a creare, e alla “persona” che invece lo smentisce, lo corregge o lo ridimensiona, rivelando la donna, la moglie, la madre, la “pasionaria”, con tutte le sue debolezze, le sue ansie, i suoi tormenti, le crepe dell’anima, come pure le ambizioni, le insicurezze, compresi i dubbi, i sospetti e l’ombra del doppio gioco, spesso addirittura consapevole, che lambisce fatalmente questa sua vita spericolata, vista la durezza dei tempi, in cui avventurieri e spie si muovono sulla scacchiera internazionale come pedine cieche di un gioco più grande di loro. Tant’è che a un certo punto questo romanzo del Novecento che è la vita di Luciana Frassati si tinge dei colori del thriller, con un finale pieno di suspense che chiama in causa il trascendente. Perché se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, è la provvidenza che finirà per salvare la temeraria.