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Altro che uno vale uno. Per i ragazzi David Attenborough è come una rockstar

Gianmaria Tammaro

Sul palco del festival di Glastonbury, la folla in delirio

Sir David Attenborough. Il naturalista. Il presentatore tv. Il produttore. Il manager del piccolo schermo. E ora sì, anche la rockstar. Nel weekend, accolto tra gli applausi e le ovazioni del pubblico, è salito sul palco del Festival di Glastonbury e ha parlato di plastica. Quella che avvelena gli oceani, quella che avevano mostrato pochi anni fa in “Blue Planet II” e che ora, incredibile, è scomparsa da una manifestazione come Glastonbury. Quando è salito sul palco la folla è impazzita: gli ha dato il tempo, lo ha trattato come si tratta la pop star del momento; lo ho preso sul serio, anche se era lì, vecchio e canuto, in camicia azzurra e pantaloni beige. Perché di lui ci si fida.

 

Non è solo divulgazione scientifica, quella di Attenborough. E’ quella rara capacità di entrare in contatto con le persone, e di farsi capire. Anche quando si parla degli argomenti più difficili. Più volte, in qualche colonna di giornale, Attenborough è stato accusato di “evitare il problema”: non parla del riscaldamento globale e, anzi, mostra un pianeta in perfetta salute. Attenborough, bonariamente, ha risposto: bisogna entusiasmare la gente, ricordare perché è bello vivere in questo mondo; e solo poi dire loro quello che c’è da fare, che cosa rischiamo. E’ il potere della speranza. Rendere partecipe qualcuno, farlo appassionare e trascinarlo lentamente, senza arroganza, verso il cuore del problema.

 

E’ il paradosso dei tempi in cui viviamo: lo scienziato del secolo scorso che riesce più e meglio d’altri, senza nemmeno usare i social, a farsi capire. Attenborough ha i tempi televisivi nel sangue. E’ stato “controller” della BBC 2, e tra i tanti programmi che ha prodotto – “commissionato”, si dice – c’è anche il “Flying Circus” dei Monty Python. Raccontare gli animali è stata la naturale evoluzione della sua carriera, e lui, che da più di mezzo secolo è in televisione, e arringa e mostra e racconta, è diventato il simbolo di un certo modo di fare approfondimento e, anche, televisione di cultura. E’ il signore gentile che non perde mai la calma, che ha fatto della sua voce il suo strumento più potente: la riconosci subito quando la senti; ti emoziona come se cantasse una di quelle vecchie canzoni dimenticate. Attenborough vede il futuro, parla al futuro, ed è rivolto al futuro. Con i suoi programmi (l’ultimo, straordinario, si trova su Netflix e si intitola “Our Planet”) ha portato l’uomo della strada nella giungla, tra le foreste, nella savana, e gli ha mostrato dove vivono e muoiono gli animali, e gli ha fatto capire – senza retorica, senza minacce, senza puntare troppo il dito – qual è il suo posto e qual è la sua responsabilità. Le generazioni più giovani hanno imparato a conoscerlo; se lo sono ritrovati in casa, questo signore, già in televisione, già abbracciato alle scimmie, pronto a sciorinare storie. E lentamente, programma dopo programma, si è creato un varco in ogni fascia di pubblico. Ha 93 anni, sir David Attenborough, decine di anni di lavoro alle spalle, esperienze, soprattutto lunghissimi titoli (tutti lo chiamano “sir” senza quasi pensarci, oramai). Ma resta un volto familiare. Resta un ponte, un punto di contatto, tra nuovo e vecchio, e tra conoscenza e ignoranza. Non è arrogante, non è feroce; non si ammanta di nessuna straordinaria novità rivoluzionaria. Ma è puro, purissimo rock’n’roll

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