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Ruba l'arte e mettila in salotto (o al museo)

Giuseppe Fantasia

Trafficanti internazionali, galleristi e case d’asta collegati a una rete di tombaroli. La storia dei predoni dell’arte raccontata in una trasmissione Rai e in una mostra al Quirinale

Roma. È stato un vero e proprio “saccheggio” silenzioso di preziosi, quello compiuto per anni - decisamente troppi - da trafficanti internazionali, galleristi e case d’asta che, collegati ad una rete di tombaroli, hanno sottratto migliaia di reperti, tra vasi, cocci e statue. A ricostruire per la prima volta la storia dei predoni dell’arte rubata è stato Duilio Giammaria grazie all’inchiesta giornalistica condotta per un anno dalla sua trasmissione “Petrolio”, andata poi in onda in prima serata su Rai Uno e intitolata “Ladri di bellezza” che – come spiega al Foglio – “è la storia di una grande razzia, il furto sistematico di opere d’arte e il saccheggio di siti archeologici che neanche le guerre hanno potuto distruggere in tal modo”.

 

È stata scoperta una vera e propria associazione a delinquere di tipo piramidale che in tutti questi anni ha portato molti di quei reperti nelle case dei ricchi dell’intero globo, come nei saloni dei musei più conosciuti e nelle aste miliardarie newyorchesi, riducendo così lo splendore della nostra storia a mero oggetto di attrazione. “Quelle meraviglie dell’antichità – continua Giammaria – sono state trasformate in soprammobili senza storia, provenienza e legami con i luoghi che li hanno generati”.

 

Anche le buone notizie, però, ogni tanto arrivano. Il Cratere di Eufronio - il vaso etrusco trafugato a Cerveteri nel 1971 e venduto poi per un milione di dollari al Metropolitan Museum di New York - e il pregiatissimo Trapezophoros - un capolavoro assoluto risalente al IV secolo a.C fino a pochi anni fa in al Getty Museum di Los Angeles - sono forse l’emblema più evidente di quel “saccheggio” avvenuto nel nostro paese sin dal dopoguerra. Oggi sono finalmente tornate da noi assieme a tanti altri capolavori e sono tra le protagoniste, al Quirinale, della Mostra “L’arte di salvare l’arte. Frammenti di storia d’Italia”, curata da Francesco Buranelli e realizzata in occasione del 50esimo anniversario dell’Istituzione del Comando Tutela Patrimonio Culturale dell’Arma dei Carabinieri.

 

 

Qualche sera fa, la presentazione ufficiale all’Archivio Storico in Palazzo Sant’Andrea di una sintesi di quel film/documentario di Petrolio che per prima ha ricostruito come l’organigramma criminale ha alimentato il quarto mercato illecito del mondo. Il caso più eclatante è l’Atleta di Fano attribuito a Lisippo (lo scultore e bronzista preferito da Alessandro Magno e osannato da Plinio il Vecchio), ancora oggi in mostra al Getty Museum di Malibù. Il 'Getty Bronze', come è chiamato dalla Getty Foundation, è in realtà il nostro 'Atleta Vittorioso' o anche Atleta di Fano ripescato nelle acque dell'Adriatico e acquistato dal museo californiano (il sogno americano di Jean Paul Getty, perfetta ricostruzione della Villa dei Papiri di Ercolano, simbolo anche della sua megalomania) nel 1977 per quasi quattro milioni di dollari.

 

Due giorni dopo l’intervista di Giammaria a Timothy Potts, direttore del Getty, il giudice dell'esecuzione del tribunale di Pesaro Giacomo Gasparini, ha rigettato l'opposizione dei legali del Getty Museum contro la confisca della statua dell'Atleta di Fano, attribuita allo scultore greco Lisippo. Pochi mesi dopo, anche la Corte di Cassazione ha respinto l’ennesimo ricorso del museo americano. Per i nostri giudici, quindi, l’Atleta Vittorioso deve tornare in Italia, ma il 24 maggio scorso, Lisa Lapin, vice presidente della comunicazione del Getty, ha dichiarato al New York Times che il museo non ha alcuna intenzione di restituire l’opera all’Italia ed è pronto a fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Insomma, un po’ come è già successo con la Gioconda al Louvre e tante altre bellezze. La “battaglia” è appena cominciata, speriamo che giustizia sia fatta.

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