Quei carnefici così moderni
Erano dei luminari dell’anatomia. Usarono le vittime del nazismo per fare ricerca. Non nei lager, ma in aula
Ogni tanto in Germania un oscuro segreto riemerge dalla terra. Il 1° settembre 2016 fu riesumato a Berlino un certo numero di ossa umane in un sito vicino al luogo in cui scienziati nazisti effettuavano ricerche su parti dei corpi delle vittime di Auschwitz spediti dal dottor Josef Mengele. Furono ritrovate nell’area della Libera università di Berlino (Freier Universitaet). Poi resti umani furono rinvenuti nel corso di lavori di ristrutturazione nell’ospedale Max Planck a Monaco di Baviera. Erano i campioni di tessuto di vittime del programma di eutanasia e utilizzati dai ricercatori nel dipartimento di Anatomia e Neurologia. La prima era stata l’Austria, che rinvenne e seppellì 597 urne con i resti di bambini malati o handicappati considerati “indegni di vivere” e uccisi nella clinica pediatrica Am Spiegelgrund, oggi parte dell’ospedale psichiatrico di Vienna Otto Wagner. E quando Raphael Toledano, un ricercatore di Strasburgo che aveva passato più di un decennio a scavare nel passato della città francese, si è imbattuto in una lettera del 1952 di Camille Simonin, direttore della scuola di Medicina legale dell’Università di Strasburgo, capì che nella facoltà c’erano ancora i campioni di tessuto prelevati da 86 ebrei gasati e usati per fare ricerca da August Hirt, un altro ricercatore di anatomia.
Il manuale di Anatomia di Pernkopf divenne un “classico” della materia. L’autore aveva usato le vittime della Shoah
Nei giorni scorsi, altre ossa. Una piccola scatola di legno è stata sepolta nel cimitero di Dorotheenstadt, a Berlino, dove riposano Hegel e Marcuse. Un sacerdote, un pastore protestante e un rabbino hanno dato l’ultimo saluto a quei resti. Trecento tessuti umani, resti microscopici delle vittime del nazismo, i cui corpi furono sezionati dopo la loro esecuzione da Hermann Stieve, allora direttore dell’Istituto di Anatomia dell’Università di Berlino.
Due anni fa, fu il caso Hans Asperger, il pioniere della medicina che aveva coniato la parola “autismo”, quando formulò l’espressione “Autistische Psychopathen”, psicopatia autistica. Fu Asperger a dare il proprio nome alla sindrome la cui giornata viene celebrata il 18 febbraio ogni anno. Poi, un libro in uscita negli Stati Uniti, dal titolo “Different Key”, scoprì che Asperger appose la propria firma a numerosi ordini di eutanasia sui bambini disabili in un ospedale di Vienna.
Adesso si parla del caso Stieve. Questo anatomista nel 1921 era diventato il più giovane medico a dirigere un dipartimento universitario in Germania. A differenza della ricerca degli scienziati nazisti che furono ossessionati dalla tipizzazione razziale e dalla superiorità ariana, il lavoro di Stieve non finì nella pattumiera della storia. La sua ricerca continuerà a perseguitare la scienza. Stieve non era un membro del partito nazista e non prese servizio in un campo di concentramento. Ma vide una grande opportunità per la scienza sotto l’hitlerismo.
Sul tavolo di Stieve ci finì anche il cadavere della sorella di Erich Maria Remarque, l’autore di “Niente di nuovo sul fronte occidentale”
“Le esecuzioni forniscono all’Istituto Anatomico un materiale che nessun altro istituto al mondo ha”, scrisse Stieve. “La mia ricerca mostra che i 30 reparti di anatomia dalla Germania e dalle aree occupate hanno utilizzato corpi di persone giustiziate e altri tipi di vittime”, ha detto a Libération Sabine Hildebrandt, che ha condotto la ricerca sull’identità delle vittime di Stieve, che, morto di morte naturale nel 1952, è ancora un “membro onorario postumo” della Società tedesca di ginecologia e ostetricia. Questo luminare dell’anatomia, direttore dell’Istituto di anatomia dell’Università di Berlino tra il 1935 e il 1952, massimo esperto dell’influenza che lo stress ha sul sistema riproduttivo femminile, dissezionava i cadaveri messi a disposizione dopo le esecuzioni. Il professore inviava i propri assistenti nel carcere di Plötzensee per parlare con le condannate a morte e ottenere informazioni sulla loro storia medica e sul loro ciclo mestruale. Ancora oggi si citano i lavori di Stieve. L’anatomista scoprì che le donne sotto una condanna a morte incombente ovulavano in maniera non prevedibile e che lo stress cronico in attesa di esecuzione colpiva il sistema riproduttivo femminile.
Fra le vittime di Stieve ci fu anche la sorella del grande scrittore Erich Maria Remarque, l’autore di “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Remarque aveva servito in battaglia durante la Prima guerra mondiale con Hitler. Ma i nazisti bruciarono il suo libro. La sorella, Elfriede Scholz, è rimasta con il marito e due figli in Germania. Fu accusata di “minare il morale” nel 1943 per aver detto che pensava che la guerra fosse perduta. Elfriede venne giustiziato nel carcere di Plötzensee, e il suo corpo fu dato Stieve.
Storia simile a quella di Julius Hallervorden, uno dei pionieri della neurologia infantile, che aveva sempre rifiutato di salutare “Heil Hitler”, il cui nome è legato ancora oggi alla malattia degenerativa che individuò insieme a un collega, la “sindrome di Hallervorden-Spatz”. Intorno ad Hallervorden si formò un gruppo di studiosi interessati alle malattie congenite. Si mossero per ottenere da Brandenburg, dove si praticava l’eutanasia, i cervelli sui quali lavorare. Faceva parte del gruppo il grande tossicologo Waldemar Weinmann e il celebre studioso di psichiatria infantile Hans Heinze, direttore dell’asilo di Brandenburg e docente di Neurologia all’Università di Berlino. Hallervorden morì nel 1966, dopo aver pubblicato decine di lavori e ricevuto molte onorificenze. Il famoso neurologo Ludo Van Bogaert ne scrisse il necrologio sul Journal of Neurological Sciences, descrivendolo come “una delle ultime figure dell’età dell’oro della neuropatologia tedesca classica e una intelligenza umanistica, Hallervorden rimane una figura indimenticabile”. Leo Alexander, psichiatra ebreo americano al processo di Norimberga, dov’erano imputati oltre ai gerarchi anche i medici del Terzo Reich, ha rivelato gli interrogatori con Hallervorden. “Io sentii che stavano per fare questo, così andai da loro e dissi: ‘Sentite, ragazzi: se proprio dovete uccidere tutta questa gente, almeno prendete i cervelli cosicché il materiale possa essere utilizzato’. C’era del materiale meraviglioso tra quei cervelli: belle malformazioni cerebrali, e deficit cerebrali infantili”. Studiando il materiale che gli era pervenuto, Hallervorden pubblicò dodici lavori. Uno di questi riguarda il caso di un feto morto nell’utero di una madre uccisa con il monossido di carbonio a Brandenburg. Questo lavoro è ancora citato come un esempio di polimicrogiria ambientale.
Julius Hallervorden non salutava con “Heil Hitler”, ma chiedeva i cadaveri delle vittime del programma nazista di eutanasia
Dopo la guerra, un altro luminare dell’anatomia, Hermann Voss, si stabilì nella Germania dell’Est e divenne professore all’Università di Jena dal 1952 al 1962 e successivamente professore emerito alla Greifswald Medical School. Il suo testo di anatomia, il “Voss und Herrlinger”, è stato pubblicato per quasi quarant’anni e diciassette edizioni ed è diventato un riferimento standard per gli studenti di medicina. Voss ha anche curato la rivista di fama mondiale Anatomischer Anzeiger dal 1952 al 1974 e dal 1954 al 1980 è stato direttore dell’altrettanto prestigiosa Acta Histochemica, la rivista leader in delicati studi sui tessuti. E’ morto nel suo letto, ad Amburgo, nel 1987. Voss, fondatore della facoltà di Medicina dell’Università di Posen, riceveva così tanti corpi che iniziò a venderli a Vienna, ad Amburgo, a Lipsia. Uno scheletro 150 Reichsmark, un teschio 30, una colonna vertebrale con testa e pelvi 50 Reichsmark. “Voss era un medico normale, non un nazista ardente”, si legge nel libro “The Nazi Doctors and the Nuremberg Code”. “Divenne uno dei più prestigiosi professori di anatomia dopo la guerra e praticamente ogni studente di medicina in entrambe le Germanie studierà anatomia dal suo libro di testo”.
Il dato impressionante di tutti questi casi è che, ad abusare dei corpi delle vittime del nazismo, non furono medici sulle rampe dei campi di concentramento, come Mengele, ma luminari dentro alle aule universitarie e nei laboratori di ricerca.
Sul libro di Hermann Voss hanno lavorato gli studenti di Medicina per decenni dopo la fine della guerra
Come lo studioso di anatomia Robert Herrlinger, che lavorerà all’Università di Würzburg dal 1951 al 1960. Quando il Senato accademico lo nomina ordinario nel 1957, l’internista Ernst Wollheim, il pediatra Joseph Ströder, e lo psichiatra Heinrich Scheller protestarono sollevando dubbi sulle sue ricerche, ma Herrlinger venne promosso lo stesso. Il direttore dell’Istituto di anatomia dell’Università di Giessen, Ferdinand Wagenseil, non era un sostenitore del regime nazista, ma non si fece scrupoli a chiedere l’accesso ai cadaveri delle sue vittime. Se dovevano essere buttati, tanto valeva che la scienza ci facesse ricerca!
O come il più famoso atlante di anatomia umana usato per decenni dopo la guerra nelle scuole di tutto il mondo e realizzato da Eduard Pernkopf, preside della facoltà di Medicina a Vienna dopo l’Anschluss, aveva disegni utilizzate ispirati dalle vittime dell’Olocausto. Dopo la guerra, Pernkopf continuerà a lavorare all’Istituto di Neurologia di Vienna. E la sua famosa opera sarebbe stata ristampata due volte negli anni Sessanta, due volte negli anni Ottanta e ancora nel 1994. Nel 1990, il New England Journal of Medicine parlò di un “libro eccezionale”, mentre il Journal of the American Medical Association lo definì un “classico tra i manuali di anatomia” con illustrazioni che “sono veramente opere d’arte”. Un altro luminare di anatomia, Max Clara, impegnato nei programmi medici nazisti, avrebbe dato il suo nome a una cellula, la “cellula di Clara”, o bronchiolari. Al Charitè, l’ospedale dove sono stati ritrovati i tessuti di Stieve, Clara lavorava con il famoso professor Max de Crinis, che si suiciderà alla fine della guerra per sfuggire alla giustizia. Sapeva che quello che aveva fatto non gli avrebbe dato scampo.
Fu una donna, Charlotte Pommer, l’unica ricercatrice ad abbandonare quel lavoro meticoloso di scienza e barbarie. Libertas Schulze-Boysen faceva parte della cosiddetta rete di resistenza “Red Orchestra”. La sua ultima lettera era indirizzata a sua madre: “Il mio ultimo desiderio è che la mia sostanza materiale sia restituita a te. Se possibile, seppelliscimi in un posto bellissimo in mezzo alla natura assolata. Ora, mia cara, per me suonano già i rintocchi funebri”. Sarà giustiziata il 22 dicembre 1942 nella prigione di Plötzensee. Il suo corpo arriverà sul tavolo di Stieve appena quindici minuti. Vedendolo, Charlotte Pommer, allora assistente di Stieve, decise di porre fine alla propria carriera. Fu l’unica anatomista a prendere una decisione del genere.
No, non erano dei “mostri”. Erano luminari al servizio di una impresa diabolica su cui non abbiamo mai davvero fatto luce fino in fondo. Ci avrebbe abbagliato e atterrito per quanto era “moderna”. Il progresso aveva perso la propria innocenza.
L'arte di chiedere