Un fumetto lungo vent'anni. "Berlin" racconta il "serpente" del totalitarismo

Gianmaria Tammaro

Il fumetto è ambientato tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta in Germania, durante la Repubblica di Weimar e l’ascesa del nazismo. Parla Jason Lutes

Per finire “Berlin”, serie a fumetti edita da Coconino Press e vincitrice di un Premio Micheluzzi all’ultimo Comicon di Napoli, ci sono voluti vent’anni. E in questi vent’anni, dice Jason Lutes, l’autore, sono cambiate molte cose. Alcune, sottolinea, nella sua vita. “Non ricordo precisamente quando ho cominciato a lavorarci; ricordo d’aver visto una raccolta di fotografie della Berlino degli anni ’20 e d’essermi deciso in quel preciso istante: farò un libro, un libro di seicento pagine”.

 

Tra i primi due volumi, pubblicati all’inizio del 2000, e il terzo, Lutes è diventato papà, ha migliorato il proprio tratto, e ha trovato, se possibile, un taglio ancora più preciso e puntuale sulla storia che voleva raccontare. “Berlin” è ambientato tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta in Germania, durante la Repubblica di Weimar e l’ascesa del nazismo. Hitler non è uno dei protagonisti. Compare solo alla fine, nelle prime pagine de “La città della luce”.

 


Un'illustrazione di Berlin di Jason Lutes


 

I veri protagonisti sono uomini e donne, un giornalista, una studentessa d’arte, veterani, una famiglia ebrea e una bambina. Quello che voleva, dice Lutes, era raccontare “l’umanità di queste persone, anche dei primi simpatizzanti del nazismo”. Capire, quindi, come il mostro, quella rabbia così terribile, sia diventata il fuoco della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. “Quando andavo al liceo, il mio professore beveva bottiglioni di soda e vodka durante le lezioni; oggi quasi mi dispiace per lui. Quando era arrivato il momento di studiare il nazismo e l’Olocausto, ricordo che ci lasciò in classe da soli, con una videocassetta, senza dirci nulla. Fu la prima volta che ebbi a che fare con l’Olocausto. Nel video, bulldozer spingevano decine di cadaveri nelle fosse comuni”.

 

Se ha deciso di lavorare a “Berlin”, continua Lutes, è stato anche per questo: per imparare. La sua intenzione non è mai stata quella di insegnare qualcosa ai suoi lettori. Più che un artista, dice, si considera un ingegnere. La composizione delle pagine di “Berlin” è precisa, ordinata, riquadri puliti e definiti in cui si alternano ritratti e primi piani, prospettive e linee, una Berlino abbozzata, semplice, perfettamente comprensibile.

 

Quello che più sorprende di quest’opera è come ogni cosa – parole e disegno – trovi il proprio posto e il giusto equilibrio. Non c’è una sbavatura. Non c’è un eccesso. La storia che viene raccontata è una storia già nota, certo, ma così potente e dirompente da scuotere, da fare male. C’è qualcosa di terribilmente attuale, in “Berlin”. Qualcosa che fa venire in mente l’America trumpiana e, anche, l’Europa contemporanea, infiammata dal ritorno dei nazionalismi e delle politiche sovraniste.

 


Un'illustrazione di Berlin di Jason Lutes


 

“Ovviamente ci sono dei paralleli”, dice Lutes. “Ma secondo me la cosa su cui è più importante soffermarsi sono le differenze. Il pericolo è come un serpente. E nel corso dei millenni, abbiamo sempre provato a respingerlo. Qualche volta sono stati gli intellettuali. Ma il serpente ritorna sempre, e noi dobbiamo capire perché”. I tre volumi di “Berlin” si intitolano: “La città della pietre”, “La città del fumo” e “La città della luce”. “Volevo dare una sensazione precisa di passaggio tra il materiale e il concreto all’immateriale”, spiega Lutes.

 

La Berlino della Repubblica di Weimar era una città viva, pulsante, caotica. Divisa tra nazionalsocialisti e comunisti. Scossa dalle manifestazioni. Deturpata dalla violenza. Sporca e rumorosa. Ma illuminata, anche, dall’arte, dalla letteratura e dalle influenze che arrivavano dal mondo esterno. Lutes racconta il momento in cui l’umanità si è avvicinata al baratro, in cui ha osservato il nero più profondo e, nonostante la paura, ha deciso di saltare. La grande assente, nella mastodontica storia di “Berlin”, è una classe dirigente – politica, sì, ma pure intellettuale – capace non solo di essere portavoce dei bisogni dei cittadini, ma anche di leggerli, di interpretarli, e di dare loro una risposta. “Berlin”, con il suo disegno così europeo, tra Belgio e Italia (“i primi fumetti che ho letto erano TinTin e Asterix, e poi mi sono lasciato influenzare molto da Vittorio Giardino”), è un fumetto imprescindibile. Anzi, di più: fondamentale.

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