Un dettaglio della copertina di “Nel territorio del diavolo”, l’ultimo romanzo di Antonio Monda

Il potere è una bestia selvaggia che va domata, se si vuole sopravviverle

Antonio Funiciello

“Nel territorio del diavolo”, l’ultimo romanzo di Antonio Monda

Forse il potere è soltanto un cavallo selvaggio. Una bestia che, se scegli di cavalcare, devi in tutti i modi riuscire a domare, altrimenti sarà lei a portarti dove vuole e a mettere a rischio la tua stessa vita. Nel territorio del diavolo, ultimo romanzo di Antonio Monda, il potere è acquattato tra le righe di ogni pagina. Quasi ovvio per uno scrittore che ha deciso di raccontare il Novecento americano ed è ormai giunto al settimo dei dieci romanzi dedicati alle decadi del secolo passato. Più che ovvio per una nazione, gli Stati Uniti d’America, che sul proprio potere hanno costruito un primato generale (politico, economico, culturale, scientifico) che dura ancora. E il potere è il vero protagonista della storia di Monda.

 

Il romanzo racconta anche la bella amicizia tra Lee Atwater, spin doctor di Bush senior durante le presidenziali del 1988, e il suo assistente Alexander Sarris. Racconta l’omosessualità di Sarris e il suo amore per un uomo malato di Aids, in un’epoca in cui tra i repubblicani parlare di omosessualità e di Aids era praticamente tabù. Non che Sarris abbia una precisa coscienza politica. Finisce a lavorare coi repubblicani più per volontà del dio del caso che per sua propria scelta. Ma è un uomo in gamba, assai capace nel suo lavoro, e diviene ben presto il miglior alleato del suo capo, Lee Atwater, nell’opera di demolizione di Michael Dukakis, candidato democratico alle elezioni presidenziali. Il libro racconta anche l’ascesa e la (presunta) redenzione del diabolico Atwater, spietato campaign manager di Bush senior. Un giovane politico brillante che, colpito a quarant’anni da un orrendo tumore al cervello, alla fine della sua vita si redime (o finge di redimersi) per il fango programmaticamente gettato su Dukakis.

Atwater è un consigliere del principe. Sarris è un assistente del consigliere. Entrambi vivono nell’anticamera del potere; entrambi maneggiano e sono maneggiati dal potere. Nel libro di Monda, il centro di gravità della loro storia è, come detto, collocato nella campagna elettorale per le presidenziali del 1988. Bush senior è stato per otto anni il vicepresidente di Reagan, dopo aver perso le primarie repubblicane contro di lui nel 1980. Atwater è già nel giro di Reagan ed è figlio di quella lunga egemonia che i repubblicani, eccezion fatta per la fortunosa parentesi di Carter, esercitarono sulla politica americana dal 1968 al 1992. Atwater odia quelli di sinistra: li considera banali e mediocri, stupidi e rancorosi, per molti aspetti antiamericani. Quale sia l’idea di America di Atwater non è chiarissimo. Si conosce ciò che Atwater odia, ciò contro cui esercita il proprio potere; per nulla comprensibile, viceversa, a favore di cosa la sua professionale capacità di gestire il potere potrebbe essere guidata.

Il punto di vista di Sarris accanto ad Atwater, somiglia a quello del David Boyd del racconto di David Foster Wallace dedicato a Lyndon Johnson, probabilmente il migliore pezzo letterario mai scritto su un presidente americano. Sarris ricorda Boyd non solo per l’omosessualità che li accomuna, ma anche per il punto di vista distaccato e disincantato sul potere. Come Boyd, Sarris comprende che il potere potrebbe anche fare del bene, ma capisce che la facoltà di fare il bene o il male non è la specificità del potere. La natura neutra del potere è ciò che affascina Sarris: l’intrinseca indifferenza che il potere manifesta nell’esercizio delle proprie funzioni. E’ per questo che Sarris non crede nella politica e la considera non tanto “l’arte del possibile”, quanto “l’illusione del possibile”. Illusoria è la pretesa della politica di dare un senso, o almeno una direzione, al potere, senza rendersi conto che è il potere a piegare la politica come e quanto crede. Torna in mente Gerhard Ritter e il suo Il volto demoniaco del potere: “Il demoniaco non è la pura e semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella della mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro”. Il potere ha a che fare col demoniaco, più che con il male in senso stretto. E difatti le invenzioni da campagna elettorale di Atwater, che sbigottiscono Sarris per efficacia e nefandezza, sono svolte nel chiaroscuro dell’ambiguità e dell’incertezza. Per distruggere la candidatura di Dukakis, Atwater s’inventa un finto sondaggio in cui si allude alla possibilità che Dukakis sia un pedofilo, senza affermarlo mai distintamente. Allo stesso modo, l’accusa falsa a sua moglie di aver bruciato la bandiera a stelle e strisce è sfumata e allusiva, giammai esplicita.

 

Continua Ritter nel suo grande classico: “Demoniaco è l’essere posseduti. E il demoniaco del potere non è altro che l’essere posseduti da quella volontà senza di cui non ha luogo nessuna grande creazione di potenza, ma che nello stesso tempo racchiude in sé forze pericolosamente distruttrici”. Difficile dire che tipo di consigliere politico sarebbe stato Atwater durante il mandato presidenziale di Bush, se solo avesse avuto la possibilità di esserlo. La malattia se lo portò via troppo presto. Eppure difficilmente avrebbe potuto sviluppare quella sua ambigua creazione di potenza, così elevata in campagna elettorale, anche da consigliere del commander in chief. Manipolare verità e menzogna è un’attività che può venir facile, per chi ha talento, quando si devono cercare i voti. Ma più difficile quando si deve governare una grande nazione. Anche perché in genere, vedi alla voce Nixon, vieni scoperto.

 

Senza sprecare un aggettivo – cosa di cui non gli si può che essere molto grati – Antonio Monda racconta come il demoniaco Atwater accresca il proprio potere politico manipolando verità e menzogna ai danni del povero Dukakis (povero si fa per dire, perché i suoi errori in quella campagna elettorale furono superiori ai colpi messi a segno da Atwater stesso…). Il giudizio sugli effetti di questa potente manipolazione è lasciato ai lettori e, come si dice in questi casi, alla storia. E’ stato Bush senior un bravo presidente o no? Per quanto possa apparire cinico, al potere demoniaco di Atwater può essere riconosciuto un diverso significato storico in relazione alle varie letture che si possono offrire della presidenza di Bush senior. E la forza del libro di Monda sta proprio nell’esito aperto che lascia al lettore sulla supposta redenzione morale del diabolico Atwater.

Un approccio così cinico è d’altronde oramai sdoganato anche presso il grande pubblico, grazie a libri e a film che hanno mostrato la neutra e demoniaca natura del potere al servizio delle grandi cause della storia. Un film su tutti, quello dedicato ad Abramo Lincoln da Steven Spielberg, testimonia al meglio quanto si sta cercando di sostenere. E, dal momento che Monda insegna cinema alla Nyu e dirige la Festa del Cinema di Roma, cercare nel cinema una interpretazione alle domande lasciate senza risposta del suo libro, è un atto di squisita coerenza.

 

Il centro del racconto del film di Spielberg (che non è invece il nucleo del magnifico libro di Louise Kearns Goodwin da cui il film è tratto) è il passaggio del XIII emendamento alla Costituzione che abolisce la schiavitù. Come ricorda chiunque l’abbia visto, per approvare l’emendamento Lincoln sfruttò la lame-duck session del Congresso, il periodo nel quale molti deputati non rieletti sedevano ancora alla Camera in attesa dell’insediamento dei loro successori. Lincoln, attraverso i suoi uomini più fidati, trovò i voti che gli mancavano tra i democratici non rieletti promettendo loro soldi, incarichi governativi e altre prebende. Il grande abolizionista Thaddeus Stevens – nel film interpretato da un superbo Tommy Lee Jones – così commentò l’impresa: “The greatest measure of the nineteenth century was passed by corruption aided and abetted by the purest man in America”.

 

Il più puro uomo d’America non disdegnò insomma di utilizzare i mezzi di potere più bassi per perseguire i fini più alti a cui la politica possa mai aspirare. Abramo Lincoln è così, a tutti gli effetti, l’altra faccia di Lee Atwater (erano anche dello stesso partito…). Anche Lincoln ha dovuto domare il cavallo imbizzarrito del potere per condurre la sua nazione fuori dall’ignominia della schiavitù. Anche Lincoln, per entrare nel pantheon dei grandi uomini della storia, ha dovuto camminare a lungo nel territorio del diavolo.

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