Carmelo Bene (foto LaPresse)

"Il corpo della voce". Il suono si mette in mostra a Roma

Maurizio Stefanini

Carmelo Bene, Cathy Berberian e Demetrio Stratos al Palazzo delle Esposizioni. Per indagare il rapporto tra la parola e la sua dimensione sonora

Una mostra da ascoltare e suoni da mostrare. E' questa la sfida de “Il corpo della voce. Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos”, dal 9 aprile al 30 giugno al Palazzo delle Esposizioni di Roma e curata da Anna Cestelli Guidi e Francesca Rachele Oppedisano, con i contributi scientifici di Franco Fussi e Graziano G. Tisato.

 

Carmelo Bene, nato a Campi Salentina nel 1937 e morto a Roma nel 2002, fu attore regista e anche romanziere, a cavallo tra teatro, cinema, televisione e letteratura. Catherine Anahid, in arte Cathy Berberian, nata a Attleboro in Massachusetts nel 1925 da famiglia di origine armena e morta a Roma nel 1983, fu mezzosoprano e compositrice. A cavallo tra il canto che aveva studiato a New York, la letteratura e la storia del teatro, approfondita alla Columbia University, e la musica contemporanea, conosciuta attraverso il sodalizio artistico e personale costruito con Luciano Berio.

 

 

Efstratios Demetriou, in arte Demetrio Stratos, nacque invece ad Alessandria d’Egitto da genitori greco-ortodossi nel 1945 e morì a New York nel 1979. Stratos fu membro del gruppo rock I Ribelli, fondatore e frontman del gruppo rock progressive e sperimentale Area, studioso e sperimentatore della voce. A cavallo tra gli studi di conservatorio e di architettura, una esperienza musicale di rottura dei confini tra i generi, la musicologia comparata ed etnica e la psicoanalisi del linguaggio.

 

 

Insomma, tre personaggi provocatori ed eclettici come pochi: ugualmente a proprio agio tra radici mediterranee, classicità musicale e teatrale italiana e avanguardismo statunitense. Carmelo Bene maltrattava il pubblico: vinse il premio della giuria al Festival di Venezia nel 1968 con quel “Nostra Signora dei Turchi” per cui prese a schiaffi un critico e si rifiutò di incontrare la stampa italiana; organizzò “spettacoli concerto” in cui teatri classici e lirici erano trasformati in enormi cavità orali; riduceva sistematicamente i dialoghi in monologhi; cercò una paradossale popolarità attraverso una voluta incomprensibilità in cui il senso era sostituito da una phoné-rumore comprensiva della musica e del dire.

 

 

Cathy Barberian prestava la propria voce a manipolazioni elettroacustiche; recitava in film sperimentali; compose e interpretò una Stripsody ispirata all’onomatopea dei fumetti. Demetrio Stratos cantava gli spartiti che John Cage scriveva con lettere; esplorava le sonorità di tibetani e mongoli; recitava scioglilingua in greco spiegando che erano serviti ad antichi sacerdoti per cadere in trance; soprattutto si sforzava di ripetere i vagiti dei neonati. Diceva che era stata la nascita della figlia Anastasia a fargli capire che “il bambino perde il suono per organizzare la parola” e teorizzava che nasciamo tutti intonati, fino a quando la famiglia non ci impone le convenzioni sociali.

 

Ora gli spettatori possono vedere e ascoltare queste performance e queste esperienze. È consigliabile dunque prendersi tempi comodi per la visita, e ogni volta che c’è un video sistemarsi sulla sedia. Il percorso espositivo non è incentrato solo sull’esperienza artistica delle avanguardie che nel corso del ‘900 hanno infranto il loro legame – fino ad allora considerato indissolubile – tra il significato della parola e la sua dimensione sonora. L'esposizione è anche sulla voce vista dal punto di vista scientifico. Altri allestimenti mostrano dunque le origini fisiologiche del suono umano e permettono di esplorarne le caratteristiche.

 

Il tutto accompagnato anche dai più tradizionali supporti visivi. In tutto sono in mostra più di 120 opere tra foto, video, materiali di repertorio, partiture originali, corrispondenze, documenti esposti per la prima volta al pubblico oltre a exhibit interattivi, aree di ascolto e apparecchiature elettroniche utilizzate dagli artisti al fine di esplorare i limiti delle proprie possibilità vocali. Ci sono perfino due tavole con le inconfondibili vignette di Jacovitti: attraverso Umberto Eco, anch’esse erano finite nella Stripsody di Cathy Barbarian.