Il professore canadese Jordan Peterson (Foto LaPresse)

La “madrassa” di Cambridge toglie la cattedra al conservatore Jordan Peterson

Giulio Meotti

In 48 ore l’università invita e rifiuta il professore canadese critico contro gli eccessi del politicamente corretto

Roma. Il nuovo guru conservatore, accusato dai liberal di mezzo mondo di essere un “bieco sciovinista e reazionario”, era atteso all’Università di Cambridge per un ciclo di lezioni sulla Bibbia. Lo psicologo Jordan Peterson era salito alle cronache tre anni fa, quando il Canada aveva varato una legge che ha imposto alle università l’uso del pronome neutro, in omaggio all’ideologia gender ormai imperante a ogni latitudine.

 

Docente di Psicologia che ha insegnato all’Università di Harvard e di ruolo all’Università di Toronto, Peterson ha risposto a quella legge con un video su YouTube rivolto agli studenti, diventato poi virale, in cui attacca la legge C-16 paragonandola agli “stati politici totalitari” e dicendo che lui non l’avrebbe mai rispettata, piuttosto avrebbero dovuto arrestarlo. Peterson ha spiegato che la legge ledeva la sua libertà di parola, rifiutando di usare qualsiasi altro pronome che non fossero i classici “lui” e “lei”. Il New York Times è arrivato a definirlo “il più influente intellettuale pubblico nel mondo occidentale”. Il suo libro “Dodici regole per la vita: un antidoto al caos” è diventato un successo planetario e ha venduto milioni di copie. Ci sono code fuori dai teatri e dalle università per andare a sentire Peterson e i biglietti costano quanto quelli di un concerto di una star della musica. “L’occidente ha perso la fede nella mascolinità”, teorizza lo psicologo, “ed è qualcosa di simile alla morte di Dio”. Il famoso “privilegio bianco”? Una “bugia marxista”.

 

Dunque una critica radicale della cultura liberal che c’era da aspettarsi avrebbe fatto un certo scandalo fra i colti di Cambridge. Ma non fino al punto di ritirargli la cattedra dopo che, 48 ore prima, gli era stata offerta. Gli accademici e l’unione studentesca hanno protestato pubblicamente per l’invito rivolto a Peterson. Priyamvada Gopal ha twittato: “Jordan Peterson sarà il mio collega quest’anno? Niente di meglio per dimostrare il nostro impegno per la diversità e la decolonizzazione”. La dottoranda Lieske Huits: “Irritata”. Studenti hanno accusato l’ateneo di avallare “il discorso anti trans”. La Cambridge Student Union ha dichiarato al giornale studentesco Varsity: “Siamo sollevati nel sentire che l’ingaggio di Jordan Peterson è stato annullato dopo un’ulteriore revisione”. Seguiva quindi una lista di “peccati” commessi da Peterson: dal credere appunto che “il privilegio bianco sia una ‘menzogna marxista’”, che “il patriarcato è basato sulla competenza” e che tutta l’enfasi sul riscaldamento globale è “una maschera degli anti capitalisti”. In altre parole, Peterson non è il benvenuto nell’università numero uno in Europa perché ha la temerarietà di sfidare lo status quo.

 

In un articolo sullo Spectator, Toby Young scrive: “È un episodio davvero vergognoso nella storia dell’università. Pensare che aveva avuto l’opportunità di ospitare una serie di conferenze del principale intellettuale pubblico del mondo, un brillante iconoclasta da cinquemila biglietti venduti a New York e a Sydney. Gli studenti universitari avrebbero avuto l’opportunità di studiare con lui, di impegnarsi nel dialogo e nella discussione. Ho trascorso due anni a Cambridge facendo un dottorato in Filosofia alla fine degli anni Ottanta e che successivamente ho abbandonato. Non è colpa dell’università, non era la madrassa di sinistra che è adesso. C’era una vera diversità di punti di vista. Stavo anche pensando di dare un po’ di soldi al mio vecchio college quest’anno. Non più”. Peterson ha risposto che, cedendo alle proteste e alle minacce, l’Università di Cambridge ha capitolato al “diversity-inclusivity-equity mob”. Un grande intellettuale conservatore non è dunque il benvenuto a Cambridge perché si tratta di “un ambiente inclusivo”. Nel caso non ne foste al corrente, l’espressione indica un ambiente in cui tutti pensano esattamente la stessa cosa e la dicono allo stesso modo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.