Cornelius Springer, "Veduta di una città lungo il Reno", 1841 (collezione privata)

Biografia del Reno, la “via maestra” che ha plasmato l'Europa

Maurizio Crippa

Storia del Padre fiume, il tessuto connettivo da cui è nata la civiltà europea. Raccontata da Lucien Febvre

Il genio del Reno è un genio europeo… Non una frontiera, ma una base”. Viaggiamo così tanto in aereo, o col Tgv, che abbiamo perso il colpo d’occhio per i paesaggi. Forse viaggiare in automobile, ché i battelli fluviali sono fuori corso, potrebbe aiutare a farcela vedere, quell’Europa che a molti esce dagli occhi perché non è mai entrata nella testa. Un paio di settimane fa due somari di grossa cilindrata, Di Battista e Di Maio, sono saliti su un pulmino e hanno dichiarato: “Andiamo a Strasburgo in van per cambiare l’Unione europea”. Intendendo, per “cambiare”, la chiusura del Parlamento di Strasburgo, davanti alla cui mole di cristallo hanno parcheggiato con l’aria inconsapevole di due coatti al centro commerciale.

 

Chissà che Europa hanno visto, lungo la strada. Avranno visto svettare le guglie della cattedrale di Strasburgo, “Venezia del Nord” per poeti minori e turisti, che nacque col nome di Argentoratum, si svegliò “centocinquant’anni dopo, come in una favola, col nome di Strateburgo”, che fece parte per sé stessa e poi fu un po’ tedesca e ora è francese? In una parola: una città romana, celtica, germanica. Cioè l’Europa. Cioè anche nostra, degli italiani. Come spiegarglielo, stanchi di ribattere come siamo colpo su colpo, a mani nude, agli strafalcioni dei ciechi che non vedono nemmeno le pietre e le vigne, cioè la storia, tra cui vivono?

 

Di Battista e Di Maio a Strasburgo in van “per cambiare l’Unione europea”. L’Europa esce dagli occhi perché non è mai entrata nella testa 

Forse, è una fantasia, mettendogli nelle mani un vecchio libro, magnifico e dotto, fluviale e appassionato, dedicato a questo liquido Padre d’Europa, quasi una biografia. Al fiume Reno. “Diciamo semplicemente che il Reno è un filo conduttore che si tende, diretto e facile da seguire, tra la pianura del Po e i paesi del Nord”, scriveva nel suo libro molti decenni fa Lucien Febvre, uno dei maggiori storici del Novecento, fondatore della scuola delle Annales che proprio al bacino renano qualche cosa deve. “Storicamente parlando, quei Paesi Bassi nei quali Henri Pirenne riconosceva, con il suo senso così acuto della realtà storica, una seconda Italia: l’esatto corrispettivo, grazie ai loro estuari, grazie ai loro corsi d’acqua ramificati che inglobano le isole, di ciò che fu il Veneto per i marinai mediterranei”. Non è straordinario? Un fiume che non bagna, geograficamente, l’Italia, eppure l’Italia è parte della sua storia. È legata così strettamente al “padre Reno”, che la storia dell’Europa diventa anche storia italiana. Una decina di giorni fa, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno firmato ad Aquisgrana un trattato bilaterale che conferma l’amicizia tra i due paesi siglata già nel 1963, all’Eliseo. Stavolta hanno scelto Aquisgrana. Nel trattato c’è poco, di concreto.

 

Ha scritto però Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che il “trattato sull’integrazione franco-tedesca è un duro colpo per la costruzione europea. Né a sua giustificazione si può certo dire che esso sia e/o voglia essere una risposta all’uragano nazionalista ed antieuropeista”. Invece la forza simbolica di un’unione tra due paesi che credono nell’Europa, nel bel mezzo della tempesta sovranista e disgregatrice, è palpabile a partire dal luogo prescelto. Aquisgrana, Aix-la-Chapelle, Aachen. Una città per tre nomi, uno latino, uno franco, uno germanico: Europa. Più che per i nomi, Aquisgrana è famosa per la Cappella Palatina che Carlo Magno vi fece costruire: la volle uguale a San Vitale a Ravenna, che è uguale a Santa Sofia a Costantinopoli, che è uguale a San Lorenzo a Milano. Oriente, Italia, Reno: Europa.

 

Se per tirarci fuori dai guai attuali un redivivo principe di Metternich dichiarasse che “l’Europa è un’espressione geografica” non farebbe un grammo di danno e non si allontanerebbe dal vero. Lucien Febvre terrebbe forse a precisare, con un fiume impetuoso e placido di fatti, citazioni, stratificazioni, date e nomi, città e campagne, che un’espressione geografica plasma anche l’espressione culturale, la storia e l’economia, scorrendo su un flusso di merci. Nel 1951 la Comunità europea del carbone dell’acciaio mise insieme le risorse strategiche di cinque paesi che si affacciano sul Reno – La Francia e la Germania, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Con l’aggiunta dell’Italia, che sul Reno non si affaccia. Ma c’era.

 

“Vi è un Reno, nella sua totalità, se il problema è quello di unire; ma vi sono molti e diversi Reni, se bisogna chiudersi in sé e combattersi”

 Per felice e lungimirante intuizione politica, certo, ma sempre anche di storia e geografia si tratta. Febvre sarebbe morto poco dopo quella fondazione geografico-economica, nel 1956, e non vide sorgere l’Europa come sarebbe diventata. Dubitava che mai accadesse, anzi, avendo visto due guerre mondiali scorrere anche su quelle rive, e a causa loro. Ma non avrebbe avuto da eccepire sulla presenza degli eredi dei Romani nella faccenda del carbone e dell’acciaio. Vi avrebbe visto una conferma di quella strada maestra che unisce l’Europa, e di cui la pianura al di qua dalle Alpi e fino al mare è uno dei due caselli autostradali.

 

Si intitola Il Reno - Storia, miti, realtà, è tra le sue opere più affascinanti, anche se non tra le più celebri. La pubblicò, nella sua edizione definitiva, nel 1935: le acciaierie della Ruhr già forgiavano i cannoni di Hitler. In Italia lo ha tradotto vent’anni fa l’editore Donzelli. Il Reno genio europeo, i suoi miti mille volte manipolati (è una biografia, non una agiografia. Il suo amico Marc Bloch lo aveva avvertito: “Uno storico che voglia scrivere sul Reno deve per prima cosa esorcizzare i suoi fantasmi”). E’ un libro, quasi un secolo dopo, da leggere in filigrana. Le grandi curve che il fiume disegna dalle Alpi a Basilea, da Colonia a Düsseldorf a Rotterdam sono sempre uguali, ma sono cambiate le sponde, le terre attorno. Lo scenario economico e soprattutto politico.

 

Quando inizia a lavorarci, le politiche francese e tedesca sono da secoli in lotta per il controllo pratico e di legittimità sul grande fiume. La “questione renana” è una faccenda dura, spigolosa e l’accademia – sulla sponda sinistra come su quella destra – è mobilitata a portare l’acqua della geografia e della storia al proprio mulino. Lo storico francese, invece, non ha dubbi che i paesi del Reno, tranne l’Alsazia, siano tedeschi. Non ne fa una questione nazionale, anzi al contrario. In un appunto del 1932, chiarisce lo spirito con cui si era messo all’opera – in realtà lo spunto fu un lavoro su commissione, la Société générale alsacienne de banque voleva celebrare con un’opera ambiziosa, solo blandamente nazionalistica, i suoi cinquant’anni di attività.

 

“Il Reno è un filo conduttore che si tende, diretto e facile da seguire, tra la pianura del Po e i paesi del Nord”. Una storia anche italiana

Ma Fabvre voleva innanzitutto “contribuire a dissipare le nuvole dense di catastrofe, a sostituire a una storia particolaristica, di guerre e di odi, una storia di scambi e unioni”. La sua tesi fondamentale, che insegue senza paura delle contraddizioni e delle casualità di cui è ricca la storia, è che il Reno non fosse un fiume soltanto tedesco, ma europeo.

 

Rinos, nella lingua celtica, significa semplicemente “acqua che scorre”. Un fiume divinità già percorso come una strada di ricchezza in tempi preistorici, come il suo fratello Danubio, che sull’altro versante delle grandi foreste e paludi univa le vie dell’oriente alle vie dell’ambra. Un fiume plurale: un fiume con più sorgenti, e con molte foci. Ma soprattutto con molti nomi: “Tanti Reni, che con il loro succedersi hanno tutti insieme dato vita al Reno”. Un fiume, racconta Fabvre, che mentre plasma il suo corso e i suoi territori a sua volta è plasmato dalle genti che lo abitano, lo colonizzano, se lo contendono. E’ il fiume stesso che diventa protagonista e generatore di una vicenda umana in cui ogni cosa si sedimenta e nulla mai si perde. Una storia plurale. La storia di una terra di mezzo. Un confine conteso, per lunghi tratti. Ma soprattutto una cerniera che tiene unite le “due parti di un dittico”, la Germania e la Francia. Ma ancora meglio sarebbe da dire di un trittico: c’è l’Europa romana, là verso Meridione.

 

Il libro di Fabvre è così pieno di epoche, lingue che cambiano, nomi, sopralluoghi a volo d’uccello sopra città e foreste e secoli che lui stesso, con arguzia e un po’ di polemica contro i vezzi dell’accademia, avverte: sono cose di cui si ricordano o interessano solo gli specialisti. Quel che importa è la filigrana preziosa, in cui si vede il disegno più profondo: è un ritratto dell’Europa al suo cuore. Che cosa è, sfrondato dai miti e dalle contese, questo fiume-padre dalle molte madri e dai molti nomi? È una “frontiera naturale”. Ma dagli inizi “il Reno può presentarsi da solo nella Storia, sotto la specie di una via di scambi. Via pacifica? Questa è un’altra questione”. E’ un confine, ma anche un argine.

 

Eppure, già dai tempi di Cesare è soprattutto la strada che porta al Nord, che lo unisce a Roma. E già a quei tempi era difficile tracciare “una frontiera etnica” tra gruppi già ibridati, “germani più o meno celtificati, celti più o meno assorbiti entro le confederazioni germaniche”. Comunità transfrontaliere che si sfioravano, si scambiavano beni, modi di vestire, parole per chiamare gli oggetti e i concetti. Terre diverse, sulle due sponde, ma piene dello stesso vasellame che proviene dalla Toscana, del pentolame italiano, delle boccette che portano sulle tavole di soldati e barbari il famoso sugo di pesce, il garum, e vini di Spagna per le classi più ricche. Una via delle merci, la libera circolazione delle merci. Il destino del Reno è da sempre essere “confine, non cesura. E civiltà coloniale più che nazionale”. E anche una terra-vocabolario di lingue che evolvono – il vero unico confine europeo è questo, le lingue, non le culture – se è vero che è nelle città cresciute sulle rive del fiume, a impero ancora ben saldo “comincia quella incredibile moda per i nomi germanici, l’accanimento dei romani a volersi far naturalizzare barbari”.

 

 “Il Reno - Storia, miti, realtà”, scritto nel 1935 per “contribuire a dissipare le nuvole dense di catastrofe” dei nazionalismi

 Poi verrà il nuovo impero, quello di Carlo – e guarderà a Meridione, come sempre, lungo la via dell’acqua e delle strade dei Cesari – poi l’impero che torna a dividersi, lungo strani e casuali assi dinastici e ben più logici corsi di fiumi. E verrà il tempo in cui a tessere la modulata unità che è meno di un impero e più di un cozzare di popoli sarà la chiesa, con le sue cattedrali, i monasteri, i vescovi delle città: “Il cristianesimo non è soltanto una grande istituzione”, scrive Febvre, è “lo sforzo possente per trasformare gli uomini, per modificare i valori… Con la sua morale di fraternità e bontà, col suo insegnamento diretto, scevro di ogni pedanteria: sano, virile, adatto a conquistare un mondo e di difendere, sotto le sue forma spoglie, le virtù delle tradizioni popolari”. Barbari romanizzati, romani germanizzati, pagani cristianizzati. Sarà questo il genio che la chiesa saprà infondere all’impero nella sua rinascita germanica: quello di non guardare più, come al proprio destino manifesto (detto per comodità di anacronismo) verso i fiumi e le immense pianure del Nord e dell’Est, ma verso l’Europa romanza, verso Roma. Sulla via del Reno.

 

Poi verrà il fulgore del medioevo delle cattedrali e delle arti, lo splendore del Rinascimento nordico dei mercanti e delle città. Per Febvre la storia del Reno – la parte più importante, e anche amata – è soprattutto una storia di città, una storia borghese in cui il fiume è il grande ambito in cui le differenze si somigliano, e i tratti comuni permangono più a lungo dei cambiamenti determinati dalle guerre e dai cambi della guardia dinastici. Il Reno, nella veritiera testimonianza visiva di Febvre è il grande tessuto connettivo in cui una “civilizzazione” che era stata per prima cosa romana è diventata altro, senza soluzione di continuità. Ma è diventata che cosa? Una civilizzazione germanica? Francese? Forse il grande storico preferirebbe dire soltanto “renana”. Ma quell’aggettivo, da intendersi come un possessivo riferito alla sovranità del fiume, acquista oggi il suo vero senso soltanto se lo si considera sinonimo di “europea”.

 

Se Strasburgo è una delle sedi del Parlamento europeo lo si deve alla tigna dei francesi, e questo si sa. Ma lo si deve anche al fatto di essere stata uno dei più luccicanti crocevia lungo una strada d’acqua che è il simbolo più evidente dell’Europa stessa. Scrive a un certo punto Lucien Febvre, che non perde mai di vista la sua attualità: “Sicché vi è un Reno, nella sua totalità, se il problema è quello di unire; ma vi sono molti e diversi Reni, se bisogna chiudersi in sé e combattersi”. Bisogna saperlo, bisogna saperlo vedere. E poi saper scegliere.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"