Cerimonia di consegna delle Medaglie d’onore della Presidenza della Repubblica ai cittadini deportati ed internati nei lager nazisti presso l'istituto Gentileschi di Milano. Foto LaPresse

Non può esserci libertà nell'odio

Sergio Belardinelli

La giornata della memoria può condurci verso la necessaria catarsi culturale e civile di cui abbiamo tanto bisogno

Non è facile fare i conti col male che segna la storia degli uomini. Tanto più il male è grande e tanto più sembra incomprensibile, assurdo, angosciante. Di fronte a interi popoli condotti al macello, semplicemente perché ritenuti indegni di abitare la terra, la mente e il cuore entrano in subbuglio; non ci sono categorie intellettuali – forse nemmeno quella di “male assoluto” – capaci di esprimere certe tragedie. Ma una cosa possiamo e dobbiamo fare sempre: ricordare; non permettere che l’oblio cada sulla sofferenza inaudita che alcuni nostri simili hanno dovuto subire per colpa di altri simili, né permettere che questa sofferenza possa diventare un pretesto per rimanere prigionieri del passato. A questo deve servire la Giornata della memoria, celebrata ancora una volta domenica scorsa. Hannah Arendt, proprio pensando alla Shoah, ha scritto che c’è un male che non può essere perdonato, perché non sappiamo neanche come potrebbe essere adeguatamente punito. Usando l’immagine evangelica, meglio sarebbe che coloro che lo hanno commesso non fossero mai nati o che fosse stata legata loro al collo una macina da mulino e gettati nel mare. Parole che turbano e che ci fanno sprofondare nella morsa limacciosa di un male senza compensi; parole che sono ancora più significative proprio perché vengono suggerite da colei che come pochi altri ha saputo vedere la “banalità”, la stupidità criminale degli aguzzini che quel male hanno commesso. Il martirio di un popolo e di tanti popoli deve diventare occasione di una vera e propria pedagogia civile, ricordarlo un modo per dire a noi stessi e alle persone che abbiamo vicino che non succederà più, almeno per quel poco o tanto che sarà in nostro potere. In questo senso la Giornata della memoria ci orienta al futuro, tremanti e fiduciosi che i nostri figli non abbiano mai a vedere né a subire ciò che altri figli, innocenti come loro, hanno invece visto e subito. Ma la “giornata della memoria” non può essere soltanto questo.

Essa deve essere in qualche modo anche una giornata del perdono e della riconciliazione. Non con i carnefici e gli assassini, ma con noi stessi, con i nostri contemporanei e con le generazioni ci hanno preceduto. Lo dobbiamo in primo luogo alle generazioni future, non fosse altro per non tenerle incatenate agli errori e agli orrori commessi da coloro che sono venuti prima. Non un gesto di stucchevole arrendevolezza, dunque, ma un vero e proprio sussulto di consapevolezza che, proprio a partire dalla tragedia, sappia schiudere una speranza possibile. D’altra parte il Ventesimo secolo ci ha lasciato dietro un immenso cumulo di morti, un’eredità ingombrante della quale bisognerà pur sempre venire a capo. Ma non sarà un’impresa facile. In maggior parte si tratta infatti di morti speciali, di morti come non se ne erano mai visti prima, vittime di ideologie assurde e disumane, che per decenni hanno potuto coprire le proprie nefandezze dietro una sorta di muraglia di incredulità. Il genocidio del popolo armeno, il nazismo e la Shoah, il comunismo e i suoi gulag sono in effetti un fardello troppo pesante per le nostre povere coscienze; dobbiamo in qualche modo esorcizzarlo. Ecco allora il patetico “non sapevo” di alcuni, l’infamante “non potevi non sapere” di altri o l’indifferenza mascherata da saggezza di altri ancora. Ma in questo modo non ci liberemo mai di quei morti; la loro tragedia continuerà a pesare su di noi come un enorme cumulo di orrori; resteremo come schiavi della nostra memoria. A meno che – ecco il punto –, a meno che non sapremo imboccare una strada completamente nuova, una strada che, senza farci chiudere gli occhi sui mali del passato, rompa le catene dell’odio, del risentimento e della paura, aprendoci al pentimento, al perdono e alla riconciliazione. E’ questo l’imprevisto di cui ha bisogno la nostra storia; solo se saremo capaci di chiedere perdono e di perdonare possiamo sperare che le nostre piaghe si rimarginino senza lasciare cicatrici. Solo così la Giornata della memoria può essere un gesto che, anziché limitarsi a una pur mobilissima “reazione”, mette in moto qualcosa di veramente nuovo. Un po’ come l’apprendista stregone che non aveva la formula magica per rompere l’incantesimo, gli uomini tendono purtroppo a perpetrare la catena dell’odio e della vendetta. In questo modo, però, è sempre Hannah Arendt a dirlo, essi restano “per sempre vittime” delle conseguenze delle loro azioni; la stessa memoria si incancrenisce. Per questo occorre perdonare. Il perdono ristabilisce l’alleanza con le generazioni presenti e con quelle passate. Non può esserci libertà nell’odio e nella vendetta; reagire con l’odio all’odio di un altro è, potremmo dire, meccanico, addirittura naturale. Ciò che invece può rompere il meccanismo prevedibile dell’azione-reazione è imprevedibile e liberatorio perché veramente frutto della libertà: io ti perdono i torti e la sofferenza che mi hai procurato. E’ un’altra storia che incomincia.  Auguriamoci che la Giornata della memoria serva anche a questa catarsi culturale e civile, di cui abbiamo tutti un grande bisogno.

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