Foto tratta dalla pagina Facebook di Andrea G. Pinketts

E' morto Andrea G. Pinketts, lo scrittore della Milano noir

Giovanni Battistuzzi

Aveva iniziato con il giornalismo, era diventato scrittore per raccontare in libertà la sua città. Negli anni Novanta aveva fondato "la Scuola dei Duri", un movimento di giallisti milanesi

Aveva il modo di fare da spaccone di una Milano che non c’è più da un pezzo, quella un po’ artefatta degli anni Ottanta. Ma uno spaccone tranquillo, sincero, senza spocchia. Aveva la parlata da milanese antico, ancora non imbastardita dalla televisione anni Ottanta, “meneghina come non ce n’è più, sono rimasto uno dei pochi”, diceva scherzando, ma nemmeno troppo. Aveva il gusto un po’ da americano in Italia, come un Nando Moriconi di Alberto Sordi, “ma milanese al cento per cento”. Andrea Giovanni Pinchetti era tutto questo e un po’ di più, era Andrea G. Pinketts, pseudonimo ma non solo, perché il suo nome d’arte, il suo essere “scrittore” non era una posa, era diventato l’essenza. Andrea G. Pinketts è morto oggi a 57 anni, per un tumore, dopo una vita passata al Trottoir, il bar prima in corso Garibaldi poi in piazza XXIV Maggio. Era lì che scriveva, era lì che aveva una sottospecie di ufficio, soprattutto era lì che dava appuntamento a tutti e lì si incatenò nel 2013, quando il bar venne posto sotto sequestro per inottemperanza alle norme sulla sicurezza.

 

  

Andrea G. Pinketts aveva iniziato con il giornalismo a Onda Tv, aveva fatto inchieste per Esquire e Panorama, travestendosi per raccontare Milano e dintorni, era diventato scrittore all'inizio degli anni Novanta con Lazzaro, vieni fuoriNel 1993 Pinketts aveva fondato "la Scuola dei Duri", un movimento di giallisti milanesi che come lui frequentavano il Trottoir. Tre anni dopo la consacrazione, quando un suo racconto venne incluso nell’antologia di Einaudi Stile libero Gioventù cannibale, che raccoglieva un gruppo di nuovi scrittori italiani “pulp”.

  

Andrea G. Pinketts aveva un alterego a cui voleva bene e che ogni tanto odiava. Lo odiava perché Lazzaro Santandrea più che un alter ego era una sua rappresentazione a lettere, punti e virgolette, soprattutto a fumetti, perché da quelli gli era venuta l’idea. Gli era apparso una notte al bar dopo un tredici ore di riprese per Onda Tv, mentre sfogliava distratto un albo. Fu il protagonista di molti suoi libri, romanzi che sfioravano il noir, rigorosamente hard boiled, per sfociare nel grottesco e poi sfioravano il pulp per sfociare nel giallo. Erano mondi realissimi e molto immaginari, una Milano che esisteva e non esisteva, che vagava tra ricordi andati e molti rimandi all’attualità. “Scrivo come mi viene, ogni tanto adeguo il linguaggio alla realtà, a volte cerco di adeguare la realtà al linguaggio. Ogni tanto non ci capisco neppure io cosa fare e faccio ciò che voglio”.

  

Andrea G. Pinketts aveva mille idee in testa, qualcuna di queste finiva su carta, le altre si disperdevano come lui si disperdeva nelle serate e nelle notti milanesi. Amava Milano a volte disprezzandola, un romantico in fondo. Lui faceva il primo, sotto sotto era anche il secondo. Quando parlava di Milano sorrideva. Poi smetteva subito, dava un sorso alla birra e si riaccendeva il sigaro. Milano l’aveva reinterpreta a suo modo, così da renderla “meno bella di quella che è, più dura di quella che è, molto più pulp, decisamente meno stronza”. Che era un complimento, perché le cose troppo facili non gli piacevano, “se una cosa è facile è banale, se è banale lo è perché è si fa prona al potere”.

  

Si professava anarchico e forse un po’ lo era davvero, ma anarchico americano con un senso profondo della giustizia e dell’ordine. “Un anarchico chandleriano se vuol dire qualcosa”, perché Chandler ha creato Philip Marlowe “e con lui un senso più intenso del senso di Antigone, delle leggi divine, che altro non sono quelle dello stato, e delle leggi del cuore”.

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