“Merde à Onfray”. E il filosofo libertario a sinistra divenne il traditore
Islamofobo, razzista, omofobo. E gli tolgono i microfoni
Roma. Il Journal du dimanche fu il primo a titolare: “Merde à Onfray”. Prima fu tacciato di “islamofobia”. E la stampa mainstream decise che il libro di Onfray, “Pensare l’islam”, non andava letto. La sua analisi dell’islam suggeriva che il Corano è responsabile dei crimini dello Stato Islamico. “L’idolo marcescente di una parte non trascurabile della sinistra varca il Rubicone che lo separava dalla pura e semplice estrema destra”, lo definì Mediapart, il sito di Edwy Plenel, il compagno di strada dell’islam politico francese. Bruno Roger-Petit, su Challenges, parlò di Onfray come di un “modello compiacente dell’estrema destra disinibita con addosso una camicia nera”. Addirittura. Laurent Joffrin, direttore di Libèration, attaccò Onfray, accusandolo di “zemmourisation”, ovvero di essere soltanto un bieco reazionario dietro mentite spoglie di sinistra. “Plebel intellettuale”, titolò l’Obs. Onfray rispose che la sinistra era affascinata dall’islam come lo era stata dalla dittatura nel XX secolo.
Il proudhoniano Onfray non sarebbe altro che un volgare populista. Sorte che lo accomunerebbe a un altro “conservatore di sinistra”, come Jean-Claude Michéa. Così adesso Onfray si prende pure di “omofobo” e viene interdetto dai microfoni di France Culture e di France 5. Nella forma di una satira, il filosofo aveva scritto una lettera al presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, dopo le sue foto nelle Antille con un giovane di colore che faceva il dito medio. “Vostra Altezza, vostra Eccellenza, vostra Serenità, mio caro Manu, mio re”, inizia così la lettera di Onfray a Macron, di cui insinuava la tendenza omoerotica.
La sinistra se l’era già presa quando Onfray si era schierato contro l’estensione della fecondazione in vitro e quella “ideologia fiction” basata sulla falsa idea che “la natura non esiste e che tutto è cultura, che non esiste sesso, nessun uomo, nessuna donna, nessun ormone femminile, nessun ormone maschile, e che anche i testicoli e le ovaie non esistono”. Scrisse Onfray che “in nome di questa logica di uguaglianza, non c’è ragione per cui le coppie di uomini non dovrebbero avere il diritto, come le coppie di donne, di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita e quindi all’utero in affitto”. E ancora: “In nome dell’uguaglianza, ci spostiamo verso la proletarizzazione dei ventri delle donne più povere”. Ma la sinistra dei diritti non aveva orecchie per questo.
Troppo errante Onfray per la gauche. Così l’ex premier socialista Manuel Valls lo attaccò così: “Quando un famoso filosofo, apprezzato da molti francesi, Michel Onfray, dice che Alain de Benoist, che è stato il filosofo della Nuova Destra, è meglio di Bernard-Henri Lévy, questo significa che perdiamo i parametri di riferimento”. Poi quel libro di Onfray, “Decadenza”, in cui lamentava la fine della civiltà giudaico-cristiana. E un altro, contro il Sessantotto. Qualche settimana fa, Onfray aveva detto: “Brigitte Bardot ha fatto molto di più per la donna di Simone de Beauvoir” (la musa femminista di Sartre). Una settimana fa, Onfray ha visto France Culture non trasmettere più i suoi corsi dall’Università di Caen, da lui fondata nel 2002 in opposizione al lepenismo marciante. Christian Gerin, che è stato a lungo produttore su France 5 prima di consegnare il testimone a Marina Carrère d’Encausse, si è chiesto: “Con quale diritto censuriamo un filosofo?”.
Ma Onfray non è più un filosofo. E’ soltanto un traditore della sinistra, un pamphlétaire. Parlando con l’Express, Onfray questa settimana dice: “Non lo so ciò che la Francia sta perdendo, ma so cosa sta guadagnando: una nuova opportunità per dimostrare che un gran numero di persone nelle posizioni decisionali stanno sabotando ciò che funziona al di fuori delle loro piccoli reti culturali incestuose”.
L'arte di chiedere