Come inventarsi una supercazzola, spiegato in quattro semplici mosse

Antonio Gurrado

Si può interagire col mondo senza disporre di concetti e, addirittura, genera un oggetto sociale nuovo ovvero, in termini più terra terra, ha la stessa ricaduta concreta di un qualsiasi documento

Paragoniamo queste tre argomentazioni. 1) “Tarapia tapioco! Prematurata la supercazzola o scherziamo? No, mi permetta, no io… Scusi, noi siamo in quattro, come se fosse antani anche per lei soltanto in due oppure in quattro anche scribai con cofandina, come antifurto, per esempio”. 2) “Lei, che cos’è che vuole? Vorrei tanto essere io quello che lei vuole, ma è chiaro che lei non vuole solo me. C’è qualcos’altro che la agita. Ciò che la agita è la X, il significato. E il significato dell’andirivieni della madre è il fallo”. 3) “Nessuna nuvola è naturale. Sono tutte effetti della geoingegneria. Prima del 1910 non c’erano nuvole in cielo. Il governo mondiale ha manipolato la storia per far credere che le nuvole siano sempre esistite. Sono stati riscritti libri, ridipinti quadri, è stata manipolata la coscienza collettiva creando un ricordo fasullo”.

 

La prima è con ogni evidenza la supercazzola del conte Mascetti resa immortale da Ugo Tognazzi ma escogitata dagli sceneggiatori di “Amici miei”: Benvenuti, De Bernardi e Pinelli. La seconda verrebbe cercata invano nello stesso film o nei sequel, poiché è un brano da “Le formazioni dell’inconscio” di Jacques Lacan. La terza infine è la scoperta di un quidam che ha ricevuto un certo seguito in quanto, anziché in manicomio, ha avuto l’opportunità di esprimerla su Facebook.

 

 

Rientrano tutte a vario titolo nel nuovo libro di Maurizio Ferraris (“Intorno agli unicorni. Supercazzole, ornitorinchi e ircocervi”, il Mulino) che le sottopone a un severo esame kantiano da cui conclude che la supercazzola schematizza senza concetto. Ovvero, fuori dai termini tecnici, la supercazzola è una pratica che non ha bisogno di competenze astratte, esattamente come si riesce benissimo ad aprire una scatola senza bisogno di rudimenti in fisica; testimonia che si può interagire col mondo senza disporre di concetti e, addirittura, genera un oggetto sociale nuovo ovvero, in termini più terra terra, ha la stessa ricaduta concreta di un qualsiasi documento. Nel film infatti, facendo una supercazzola, il conte Mascetti ottiene l’annullamento di una multa per chi ha clacsonato. Si può definirla mutuando da Kant l’espressione “libero gioco” e Kafka aggiungerebbe, come nella fantastica descrizione dell’Odradek, che si tratta di un “insieme privo di significato, ma nel suo genere chiuso in sé”.

 

Bisogna ammettere che delle tre argomentazioni riportate in apertura sembra maggiormente dotata di senso quella sulle nuvole: perché, a differenza di Tognazzi, il suo autore utilizza una struttura sintattica ancorata su cause ed effetti mentre, a differenza di Lacan, ripudia il linguaggio astruso preferendo i termini concreti ed eclatanti della forma retorica della rivelazione. Se ne può dedurre che, presupponendo parallele campagne sui social, oggi non molte persone sarebbero portate a credere fermamente a scribai con cofandina e ancora meno si convincerebbero che l’andirivieni della madre è il fallo; mentre un congruo numero, benché si auspica minoritario, potrebbe trovare ragionevole che un governo mondiale ha riscritto “Le nuvole” di Aristofane e ridipinto i nembi di Caspar David Friedrich allo scopo di retrodatare l’invenzione di quei prodotti della geoingegneria che sono stati apposti in cielo poco più di un secolo fa.

 

Ciò capita, spiega Ferraris, perché la supercazzola fa aggio su una sola delle tre parti in cui si può idealmente suddividere la filosofia: tralascia l’ontologia, quello che c’è indipendentemente dal sapere; tralascia l’epistemologia, quello che sappiamo o c’illudiamo di sapere; si basa solo sulla tecnologia, quello che facciamo indipendentemente dal sapere. Per fare una supercazzola basta far seguire una parola all’altra in una parvenza di comunicazione e, per diffonderne una convincente come quella sulle nuvole, basta riprodurre un’argomentazione basata su un principio di causa ed effetto senza curarsi né delle conoscenze correlate a queste cause ed effetti né dell’effettiva esistenza delle cause e degli effetti di cui si parla.

 

“La supercazzola”, scrive Ferraris, “trova la sua akmè nella rivoluzione documediale in corso, che consiste nell’unione fra la forza istitutiva dei documenti (il web è il più grande archivio che la storia abbia conosciuto) e il dinamismo dei media (ognuno di noi è insieme ricettore e produttore di messaggi, mentre sino a ieri eravamo solo ricettori)”. Trovandoci in un contesto che ci sottopone uno spazio di archiviazione infinito con una rapidità di calcolo fulminea, non ci troviamo più nella gravosa situazione in cui si erano trovati Aristotele, Bacone o Linneo, cioè quella di dover classificare gli enti in tabelle entro le quali inscrivere eventuali enti futuri; tutto è passato e basta cercarlo alla rinfusa, senza ordinarlo in una tassonomia. È quello che fa Google. Ciò favorisce l’itinerario della supercazzola che Ferraris scandisce in quattro fasi. Anzitutto, l’iscrizione: spiego l’invenzione delle nuvole allo stesso modo in cui un animale fa pipì per marcare il territorio, ovvero con una tecnologia priva di ontologia (la pipì è simbolo di un confine ma non è il confine) e di epistemologia (l’animale non ha una teoria della divisione delle terre né tampoco della minzione). Quindi viene l’iterazione: altri utenti di Facebook leggono l’argomentazione sulle nuvole così come altri animali trovano traccia della pipì. Segue l’alterazione: gli utenti di Facebook si persuadono che le nuvole non esistessero prima del 1910, perché l’hanno trovato scritto, così come gli animali decidono di girare alla larga da quella zona, perché un altro vi ha orinato. Alla fine giungerà una esternalizzazione, ossia una fissazione della supercazzola su supporto tecnico esterno, ma soprattutto si verificherà ciò che Derrida chiamava différance: sia nel senso di differenza, poiché il territorio risulta modificato dalla traccia e la cultura scientifica risente dell’ipotesi complottista sulle nuvole, sia nel senso di differimento, poiché, venendo riconosciuta come traccia, l’orina riceverà un senso perdurante nel tempo e si raduneranno accoliti antinuvolisti che organizzeranno convegni e pubblicazioni.

 

Da mera tecnologia, la supercazzola sarà diventata ontologia, in quanto avrà alterato l’esistente, e soprattutto epistemologia, in quanto si sarà iniziato a discutere sulla validità delle conoscenze dei meteorologi riguardo all’effettiva esistenza delle nuvole già nel tardo Ottocento se non prima. Si sarà creato quell’effetto dei bestiari medievali che descrivevano l’unicorno senza che ne esistesse uno: quando Marco Polo incontrò il primo rinoceronte, lo classificò come unicorno benché non somigliasse affatto all’animale immaginario descritto dai bestiari.