Katherine Hepburn e Douglas Montgomery sul set del film "Piccole donne" (foto LaPresse)

La libertà è responsabilità verso gli altri. Di questo parla “Piccole Donne”

Simonetta Sciandivasci

L’amore di Patti Smith per Louisa May Alcott sulla Paris review

Patti Smith ha scritto un articolo su Louisa May Alcott per la Paris Review. S’intitola “Una libertà responsabile: Patti Smith su Piccole Donne”. Non è bellissimo? Che emozione (e speriamo sia l’inizio di una serie, speriamo che Mick Jagger scriva presto del Piccolo Lord ed Elton John del Circolo Pickwick). Sembra una stramberia: la sacerdotessa del rock, la poetessa maudit, la ragazza per statuto, quella con la cravatta e le bretelle e i gilet (gonne mai, gonne niente), l’atipica che nel 1979 scrisse una canzone per il Papa, la fuoriclasse fuori di categoria, che ora ha settantadue anni e i capelli ancora molto lunghi e selvatici, e prende e dice la sua (sulla più prestigiosa rivista letteraria del mondo) a proposito di un romanzo che è una categoria, e che si legge a scuola, e che è stato così amato dai conservatori (da tutti, in verità) da fare canone. Invece non è strano per niente: Piccole Donne è molto rock, anzi Piccole Donne rocks. Perché le sue protagoniste, le sorelle March, “scelgono quello che desiderano, sempre” e “vanno alle feste coi guanti bruciacchiati e si divertono lo stesso” (Nadia Terranova, che ha scritto la postfazione alla nuova edizione integrale del romanzo, pubblicata di recente da Feltrinelli). Perché “è un classico che ha fornito tutti gli archetipi femminili che ci servivano” e Louisa May Alcott “da centocinquant’anni ci fa appassionare a dei personaggi che lei così evidentemente odia” (Guia Soncini, su Gioia della scorsa settimana, a proposito della nuova serie della BBC tratta dal romanzo). Non possiamo non dirci Piccole Donne. Neanche Patti Smith può e infatti ha scritto: “nessun libro mi ha fornito una guida migliore per entrare nella giovinezza”. Come quasi tutte le ragazze del mondo, Patti Smith lo lesse la prima volta a dieci anni e, sempre come quasi tutte noi, si identificò in Jo, l’indipendente, l’audace, l’artista, quella che non sposa il ragazzo bellissimo e ricchissimo che la ama pazzamente, ma ne diventa amica e va incontro al mondo per fare la scrittrice e, quando torna, sposa uno più vecchio di lei, pure piuttosto noioso. L’autonomia di Jo e la dedizione al suo sogno, all’edificazione del suo ruolo (impegno che a un certo punto sembra destinata a pagare con la solitudine) non sono mai seconde al suo senso di responsabilità nei confronti degli altri. A colpire Patti Smith non è solo “l’anima rivoluzionaria”, ma il fatto che Jo compie la sua rivoluzione senza mai dimenticare chi ama, senza mai sciogliere i suoi doveri verso la sua famiglia e, come le è stato insegnato in casa da sua madre, verso il prossimo. La stessa Alcott, ricorda Patti Smith, rese compatibile la carriera (difficile, difficilissima) con i bisogni della sua famiglia, riuscì a soddisfare la vena creativa e, insieme, l’attenzione “alle questioni domestiche cruciali”. Piccole Donne s’è prestato, a seconda del tempo in cui è stato letto, a una interpretazione diversa del femminile e, progressivamente, sempre più ricca e sfaccettata. E’ stato inevitabile e, in fondo, giusto. Patti Smith, però, è andata oltre e ha evidenziato il punto, l’elisir che rende immortale questo romanzo e la sua voce così interessante e sempre nuova, nonostante parli da centocinquant’anni: siamo in dovere verso noi stessi, verso la realizzazione dei nostri obiettivi e dei nostri sogni al pari di quanto siamo in dovere verso chi ci sta intorno.

 

Siamo in dovere verso il nostro talento e, allo stesso modo, siamo chiamati alla carità verso gli altri: le sorelle March sono quattro esempi di come si possano soddisfare entrambe le cose, mantenendole in equilibrio. L’amore per gli altri come precondizione dell’amore per sé (e libertà conseguenti) è un tema caro ad Alcott. Basta leggere il suo racconto “Una cenerentola moderna”, la cui protagonista vede “la bellezza di una vita di abnegazione”.

 

Oltre che a essere forti, più forti della paura, che è il solo modo per essere lievi, forse pure frivole, senza perdersi in chiacchiere, Alcott ha mostrato alle ragazze, sacerdotesse del rock incluse, che essere libere significa onorare gli impegni e che amare è un’assunzione di responsabilità.

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