Foto tratta dal sito universoassisi.it

Vale la pena scoprire l'Universo Assisi anche se non siete francescani

Gianluigi Ricuperati

Non solo frati in saio con l’iPhone e suore con le chitarre

"Ascolto il tuo cuore, città", scriveva il grande Alberto Savinio in un libro adamantino su Milano tanti anni fa. "Ascolta il tuo battito", invece, ammoniva una campagna sullo scompenso cardiaco di Novartis dell’anno scorso. Niente come l’offerta culturale funziona da stetoscopio per capire come stanno le città, anche le più piccole, come Assisi, una delle destinazioni turistiche nodali del nostro paese, che negli ultimi anni sta provando a uscire dal sublime cliché francescano e religioso puntando proprio sulla produzione culturale contemporanea.

 

In questi giorni di fine luglio, infatti, si possono vedere con facilità frati dall’aria curiosa e preoccupata affacciarsi dai loggiati e dagli stipiti incantevoli per fotografare filosofi e musicisti elettronici, pianisti scapigliati e architetti muscolari. Universo Assisi è il nome del festival che sta mettendo la gemma umbra su una mappa un po’ diversa dal solito, fatta di sapere multidisciplinare ed esperimenti artistici d’avanguardia. Il merito (o la colpa, chissà) è della caffeinica prima cittadina del borgo medievale più famoso del mondo, Stefania Proietti, che due anni fa ha chiesto uno sforzo d’immaginazione culturale all’infaticabile Joseph Grima, direttore artistico di Matera 2019 e responsabile del programma della Triennale di Milano, curatore globale con un pezzo di cuore piantato nelle colline qui intorno (la sua splendida mamma era un’inglese innamorata dell’Italia che gestiva un bed and breakfast bucolico tra le valli).

  

La richiesta era “raccontiamo una Assisi differente”. La risposta si richiama a un’idea universalistica del sapere, che confronta la tensione verso la conoscenza a dispetto delle barriere specialistiche, e porta protagonisti assoluti tra le antiche mura custodite con quieta ansietà dagli eredi di Francesco. L’anno scorso si sono fatte vedere personalità come Rem Koolhaas e Hans-Ulrich Obrist, quest’anno arrivano Patricia Urquiola e Bjarke Ingels, due fra gli architetti che più stanno definendo il paesaggio presente del progetto, disegnando divani di Cassina o palazzi-diamante a New York, alberghi a Singapore o impressionanti sedi della Lego in Danimarca. Ancora più che nel 2017, il pedale della curiosità spinge Universo Assisi verso la musica, con Michael Nyman, o il teatro, con Vinicio Marchioni, o l’hip-hop italiano di qualità , con Ghemon, e la letteratura, con il talento di Letizia Muratori e le nuove alabarde narrative di Iacopo Barison e Orazio Labbate.

 

Ma la cosa stupefacente di questa Assisi non particolarmente scalza però piena di passi potenziali davanti a sé, è la vocazione a riscoprire luoghi segreti. Da sempre si mormora della presenza di anfratti delle meraviglie tenuti lontani dall’occhio turistico, e oggi ci si può davvero inoltrare fra le inattese potenze spaziali della ex Montedison, progettata dalla scuola di Nervi, un disco di cemento brutalista che è stato ravvivato da Luca Trevisani, il più colto tra gli artisti contemporanei italiani, oppure il Palazzo Monte Frumentario, dove il fotografo Antonio Ottomanelli dialoga con i fantasmi di due grandi artisti, Luigi Ghirri e Gordon Matta-Clark.

 

Fa impressione vedere uomini gentili con il saio tirare fuori smartphone lucidissimi e inquadrare una varietà umana un po’ distante dalla classica famiglia cristiana, ma ugualmente incantata dallo splendore di una piazza irregolare come quella della Chiesa Nuova, mentre il filosofo e conduttore di Radio3 Pietro Del Soldà riassume con grazia ben modulata l’omoerotismo controllato di Socrate. A chi invierà quella foto ? Su quale rarissimo social network di nicchia appariranno le immagini di un’umanità che ama i libri e i plinti di un white cube museale forse più delle reliquie sacre (sebbene nulla ricordi la Teodicea classica come il cosmo del potere del sistema dell’arte contemporanea, che è strutturato come una Chiesa, o un arcipelago di confessioni interdipendenti, con i suoi dogi e i suoi conclavi)?

 

Cosa penseranno le suore con le chitarre acustiche a spalla, mentre l’ingegnere che rappresenta la genovese Boero, la più antica industria di colori e vernici del nostro paese, illustra con dovizia di particolari che la tinta preferita dagli italiani è il verde, perché lo stivale è pieno di ringhiere e staccionate di ferro?

 

Ma proprio in questo senso, passeggiando per le pietre incantatorie di Assisi, viene da suggerire alcune possibili vie alla benemerita amministrazione umbra: la strada è quella giusta, perché la cultura contemporanea – in un mondo afflitto da populismi e think tank che odiano la conoscenza, mostri umani razzisti e sfascisti – sarà sempre di più un affare da catacombe a cielo aperto, un dovere di resistenza progettuale, una comunità inconfessabile. La cultura progressiva italiana, forse, può ripartire anche da qui: imparare da Las Vegas, come dicevano nel 1971 i teorici e urbanisti Robert Venturi e Denis Scott-Brown. E perché non imparare da Assisi, magari guardando negli occhi i più attenti fra quei frati curiosi?

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