Foto Fronteiras do Pensamento/Wikimedia

Il Dottor Stranamore Sloterdijk

Giulio Meotti

Prima ha stregato tutti col suo populismo da “parco umano”. Ora si lamenta dei ciarlatani al potere

Roma. In Germania, dove i filosofi accademici sono sinonimo di seriosità, Peter Sloterdijk ha il monopolio dell’irriverenza. E’ un elemento decisivo del suo inappagabile appeal e della sua fama di “filosofo più importante d’Europa”, come recita la copertina in edicola questa settimana del magazine francese Le Point. E’ l’intellettuale pubblico che ha fatto della ribellione alla democrazia liberale quasi una professione e che, ora che la democrazia liberale è davvero in crisi in tutto l’occidente, è inseguito come un profeta.

  

Nel 2006, Sloterdijk ha pubblicato un libro, Zorn und Zeit, la rabbia e il tempo, in cui scrisse che la rivolta contemporanea contro la globalizzazione e la democrazia liberale dovesse essere vista come l’espressione di sentimenti “nobili”. Poi Sloterdijk predisse l’insurrezione populista in Europa, “un periodo in cui guarderemo con nostalgia ai giorni in cui abbiamo considerato come una minaccia uno showman populista accattivante come Jörg Haider”. Ora Sloterdijk si è ritrovato nella difficile situazione di un pensatore per il quale la realtà ha raggiunto le sue dichiarazioni. L’intervista al Point ne è la resa dei conti.

  

Sloterdijk ora dice che le democrazie, come gli organismi, possono morire. “Sono suscettibili di passare attraverso le fasi di disorganizzazione, incoerenza, e persino decomposizione. E’ quello che sta accadendo in questo momento in un certo numero di paesi dell’Unione europea”. Dice che è in crisi “l’Europa come ‘comunità di valori’, basata su uno ‘spirito europeo’ e sull’idea di essere l’avanguardia del disarmo”. Secondo Sloterdijk, oggi l’Europa “è una specie di centro rehab”, un centro di riabilitazione per tossicodipendenti dove “milioni di persone reimparano a vivere in un mondo post-eroico”. Il selfie, dice, “ha minato la politica. Stiamo assistendo a una rivendicazione del famoso ‘diritto dei popoli all’autodeterminazione’, ma nella sua versione del XXI secolo, pervertita, adolescenziale, capricciosa”.

  

Secondo Sloterdijk, l’antisistema attuale è l’equivalente di quello che Freud ha chiamato il disagio di civiltà. “Un secolo dopo Freud, troppi elettori europei non hanno ancora capito che non basta mangiare e baciarsi come i ricchi per essere soddisfatti. Le cause alla radice dell’insoddisfazione sono ancora lì. La parola tedesca lo dice bene, Kultur, sia cultura sia civiltà. Ma l’Europa non si preoccupa abbastanza della cultura”.

  

Quello che sembra sfuggire al dottor Stranamore della filosofia europea è che, una volta smantellato l’umanesimo come Sloterdijk si è sempre augurato (l’uomo è marcio, va rifatto), una volta rimpiazzata la metafisica occidentale con il postmoderno come Sloterdijk ha sognato (il suo ultimo libro si chiama Nach Gott, dopo Dio, omaggio alla secolarizzazione radicale), restano soltanto le Regeln für den Menschenpark, le regole per il parco umano che diedero il titolo a una epocale conferenza superomista che il filosofo tedesco tenne nel castello bavarese di Elmau. Dopo aver coltivato per anni nichilismo, cinismo e pensiero debole, Sloterdijk ora si lamenta del Das Unbehagen in der Kultur. Per dirla con un grande intellettuale della Scuola di Francoforte come Axel Honneth, che lo attaccò sulla Zeit, con Sloterdijk siamo sempre lì, nell’ambito delle “chiacchiere inutili”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.