foto tratta dal profilo Facebook di Edizioni Black Coffee

La versione di Freeman's. La più politica delle riviste letterarie esce solo su carta

Simonetta Sciandivasci

Una rivista è uno “strumento di scoperta del reale” e farne una è, innanzitutto, un atto da lettore politico. Scrittori dal futuro, il quarto numero tradotto in italiano

Scommettiamo che parliamo di una rivista letteraria e voi non ve ne accorgete? C’è, al mondo, gente che trova eccitante il battito del cuore. Eccitante nel senso di erotico, carnale. Ci sono, al mondo, i feticisti del battito cardiaco: per fare l’amore hanno bisogno di uno stetoscopio, altrimenti niente, non sentono niente. Vi sembra una scemata, una porcheria, una perversione, ma dove andremo a finire, e invece è fiction di una cosa vera. C’è, nello stesso mondo, precisamente in Messico, un posto dove è stato preparato il più grande cocktail di gamberi di sempre (una tonnellata) perché bisognava rianimare l’immagine di quel posto, dopo che ci avevano scoperto fosse comuni con almeno cinquecento cadaveri e il fienile di un ranch con altri duecento morti, tutti ammazzati dai narcotrafficanti. Anche questo è successo davvero. Potremmo, un giorno, riciclare i nostri capelli, e farci maglioni; le nostra ossa, e farci mobili; i nostri denti, e farci fedi nuziali, costosissime e in voga. E questa è distopia. Persino le mogli indiane di ricchissimi indiani immigrati di seconda generazione in Inghilterra vogliono mandare le suocere in ospizio e dicono ai mariti cose come “tesoro, sei sicuro di star bene? Sono tre giorni che pensi e tu non pensi mai”. Fine dello scorcio.

 

Quello che succede, leggendo Freeman’s - Scrittori dal futuro, il quarto numero (e il primo tradotto ed edito anche in Italia da Edizioni Black Coffee) della rivista fondata da John Freeman, ex direttore di Granta (periodico letterario imprescindibile: gli italiani son anni che si domandano come copiarlo bene), è che si vede come si muove il mondo, rispetto a noi che lo guardiamo: contraendosi e dilatandosi. Non solo: si vede anche come, sia che si contragga e sia che si dilati, la cosa ci riguardi, non per forza e non sempre perché ci assomiglia.

 

“Leggere è un atto politico”, scrive Freeman nell’introduzione, prima di spiegare che questo è un numero dove ha voluto raccogliere il mondo e l’ha fatto selezionando autori nati ovunque, di qualsiasi età, nelle cui voci ha trovato “non un proclama, ma un invito”, visto che la politica la fa chi legge e non chi scrive. Una “testimonianza che non ha bisogno di giustificarsi, di dimostrare di essere arte”; un “parlare a tutti”; un confine – superato o guardato, costruito o abbattuto.

 

Una rivista è uno “strumento di scoperta del reale” (scrive la Black Coffee in esergo) e farne una è, innanzitutto, un atto da lettore politico. Ci dice Freeman, dall’America, che essere un lettore politico (scusate la ripetizione, ma è utile), adesso, significa desiderare e immaginare un mondo complesso, vasto, impiegabile ma valicabile: lettori che diano un pubblico e cioè un senso agli scrittori che di complessità e vastità sentano il dovere di parlare e che, anche, ci caschino tra le mani quando più abbiamo bisogno di loro, cioè quando non sappiamo neanche che li stiamo cercando. John Freeman ha poco più di quarant’anni, vive a New York, insegna alla New School e alla New York University. La sua rivista è soltanto di carta e nessuno dei suoi autori se ne è mai lamentato; è al quarto numero ed è già stata tradotta in svedese, italiano, rumeno e cinese, quindi è molto di più che online. A Livia Manera che, sul Corriere, gli chiedeva cosa dovesse aspettarsi un lettore italiano dalla sua rivista, Freeman ha risposto: “Una curatela seria, in un momento di crisi curatoriale. Il lettore che vuole capire che cosa stia accadendo nel mondo e cosa significhi essere vivi, che è poi la ragione per cui leggiamo, ha bisogno di una persona che eserciti una curatela”. Niente internet, niente ricerca del consenso, niente compiacimento del lettore, zero democrazia dal basso, scelta, impegno, un sacco di carta, traduttori e scrittori da tutto il mondo: i ferri della letteratura, quella in salute e sempre possibile. Un’ultima cosa: in questa Freeman’s non ci sono sezioni monografiche di autori novecenteschi che brontolano dall’aldilà. E (incredibile) è bella lo stesso. Bravi anche i ragazzi di Edizioni Black Coffee, millennial a loro insaputa.

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