Un'immagine di Stranger Things II

Con Stranger Things II Netflix va a caccia di nerd (ad Halloween)

Manuel Peruzzo

Nel sequel le energie degli sceneggiatori sembrano essersi esaurite. Il risultato è una serie tv per chi dei nuovi cult non ne vuol sapere o per chi in mancanza di un’esperienza si appropria di un cult di seconda mano

Negli anni ottanta immaginavamo il ritorno al futuro con Robert Zemeckis, oggi ricordiamo gli anni ottanta con Netflix. Le modalità di visione sono cambiate. Quand’eravamo giovani c’erano pochi blockbuster e li guardavamo fino alla nausea. Senza saperlo partecipavamo alla creazione di prodotti cult passando le giornate a mangiare schifezze in pigiama di fronte al TV. Oggi c’è sovra offerta e abbandoniamo le serie a metà. Netflix usa i dati che raccoglie sui nostri comportamenti da spettatori per anticipare i nostri gusti. L’esito è l’investimento in revival come Gilmore Girls, Arrested Development e Full House. Ma anche novità costruite filtrando l’immaginario pop degli anni ottanta, è il caso di Stranger Things, un cult posticcio da guardare in binge watching, mangiando schifezze in pigiama di fronte al televisore. La popcorn tv ci fa sentire giovani. 

 

 

Il successo di E. T. aveva aperto la possibilità di un sequel: “E.T. II: Nocturnal Fears”, nel quale Elliot è rapito e torturato dagli alieni.“Non è mai stato realizzato, grazie a Dio”, è il commento del New York Times a cui ci accodiamo. Per Netflix un sequel lasciato è un sequel perso e ha giustamente affidato ai fratelli Duffer la creazione di Stranger Things II. La lezione è quella dello sceneggiatore di Ritorno al futuro, Bob Gale, il quale ha sempre avuto due certezze: la prima è che nessuno può predire con esattezza il futuro, la seconda è che “sarai sempre nostalgico riguardo ciò che è successo trent’anni prima”. O se preferite le parole di Don Draper nel memorabile pitch in Mad Men: “Lo struggimento è di gran lunga più potente del ricordo”.

 

Le nove puntate del sequel di Stranger Things sono più potenti del ricordo. Ci sono ancora: il gruppo di tredicenni in bici, una misteriosa organizzazione governativa che fa test su esseri umani, l'universo parallelo sottosopra con un mostro terrorizzante, una ragazzina che cerca l’inclusione nel gruppo ma è respinta (ma siccome sì siamo negli anni ottanta ma lo spettatore è del 2017, è lì apposta in quota diversity), il migliore amico che s’è innamorato della ragazza fuori dalla sua portata (inutile vi dica come va a finire, ma qui lo spettatore del 2017 è lo stesso del 1980). L’anno scorso Winona Ryder comunicava col figlio attraverso le luci di natale e devastava la casa per salvarlo, ora la vediamo comunicare col figlio attraverso i disegni e devastare la casa per salvarlo. Se ha funzionato una volta può funzionare ancora.

 

Siamo nel periodo di Halloween (perché fa tanto horror e perché a Netflix sanno come venderti il merchandise). I nostri vanno a scuola vestiti da acchiappa fantasmi solo che c’è un problema: nessun altro s’è travestito. Ciò che un anno prima era un piacere condiviso ora è solo roba da nerd. Poco male, il club dei loser è un’invenzione di King, e tra tutte le recenti trasposizioni dai suoi romanzi (The Dark Tower, It, Mr. Mercedes, 11/22/63), Stranger Things è il più kingiano di tutti. Tuttavia il procedere per accumulo di film (Alien, i Goonies, Ghostbusters, Gremlins), di musicisti (Bowie, Siouxsie and the Banshees) di scrittori (Vonnegut, King), di temi e contenuti (bullismo, contaminazione di corpi estranei, ricerca della madre, l’amicizia che contrasta il male) se da una parte restituisce un immaginario ricco e “ammobiliato” di quegli anni dall'altra sembra aver esaurito le energie degli sceneggiatori: ne soffrono la trama e la progressione dei personaggi. ST è una serie per chi dei nuovi cult non ne vuol sapere perché ne ha di già consolidati. O per chi anche in mancanza di un’esperienza si appropria di un cult di seconda mano, e si sente contemporaneo. Ma forse è solo un po’ nerd.

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