L'Hirshhorn Museum di Washington

Il nuovo puritanesimo e l'arte che ha paura di fare il proprio dovere

Francesco Stocchi

Rinviata la presentazione di un’opera fotografica quanto mai attuale sulla facciata dell’Hirshhorn Museum

"Un’occasione persa". Questa la cifra umorale che sembra trasparire in seguito alla decisione dell’Hirshhorn Museum (museo Federale a Washington) di cancellare la presentazione di un’opera fotografica dalla sua maestosa, cilindrica, facciata. “I nostri cuori vanno alle vittime e alle famiglie della tragedia di oggi in Florida. Per rispetto verso le persone colpite e per la sensibilità verso il nostro pubblico, Hirshhorn e l’artista Krzysztof Wodiczko non proietteranno più la sua opera all’esterno dell’edificio”, si leggeva sul sito web del museo, poche ore dopo che il diciannovenne Nikolas Cruz sparasse agli ex compagni della Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, trentamila abitanti a nord di Miami. L’opera consiste in una proiezione più di venti metri di altezza, progettata per la facciata dello stesso museo e raffigurante due mani che reggono una pistola e una candela, e al centro una fila di microfoni.

 

L’autore è il dimenticato, o per meglio dire il mai veramente pervenuto, artista polacco Krzysztof Wodiczko, che in linea con il comunicato del museo ha dichiarato: “Per me, il silenzio sembra la cosa più rispettosa. In questo caso, non mostrare la proiezione è segno di rispetto e sensibilità per le persone che soffrono di questa grande tragedia”.

 

Al netto del valore artistico dell’istallazione, concepita nel 1988 e proiettata allora sulla facciata dell’Hirshhorn Museum, per una volta che ci si trovava di fronte a una concomitanza d’ordine casuale, bisognava dare prova di responsabilità presentando l’opera. Macché, si cancella tutto per abbracciare il cordoglio collettivo così ben orchestrato da quelle parti, accompagnato da una rassegnata accettazione. Sembra quindi un’occasione persa, perché una delle poche cose che l’arte può e deve fare rispetto a chi di arte non si nutre (come è il caso di una proiezione pubblica) è non rimanere in silenzio, mostrare il valore della libertà di espressione e conferirgli efficacia comunicativa. Non si pretende certo con l’arte di muovere le coscienze o di indirizzare i gusti delle persone: l’attuale espressione artistica dominante tende a non osare oltre la conferma dello status quo, oppure a offrire una calcolata ribellione per un’illusoria sensazione di radicalità, così assente nella classe borghese. L’opera d’arte può sempre sedimentarsi per mostrare qualcosa a cui non si aveva pensato, oppure qualcosa a cui si pensava già, ma espressa in maniera diversa.

 

In un periodo di revisioni storico-culturali, la scelta finale pare sempre quella di non mostrare. Celare rispetto a esporre, nascondere i termini di una questione invece che affrontarli. Una visione manichea del mondo dove basta usare l’ipocrisia dell’invisibile per proteggere i buoni dai cattivi. Non ci soffermiamo qui sulla nevrosi censoria che porta a mettere all’indice ogni centimetro di carne, ogni sguardo ammiccante o gioco di allusioni, la cui esposizione provoca reazioni che ci informano più sulla malizia sottesa dello spettatore scandalizzato che sulle intenzioni dell’autore. Honisoit qui mal y pense.

 

E’ probabile che la proiezione avrebbe suscitato proteste, tentativi di boicottaggio, giudizi lapidari, fiammate di scandali da esaurirsi in ventiquattr’ore, ma proporre, provare, fare, significa esporsi alle critiche con la speranza di aprire a un confronto. Invece, in perfetta sincronia con la moda dei tempi, nel dubbio, si sottrae alla vista, ma lo si fa in stile puritano, decidendo di mostrare comunque l’opera al sicuro, all’interno dell’edificio, in un filmato/documentario che mostra la proiezione del 1988. L’opera tratta di argomenti che erano al centro delle elezioni presidenziali del 1988 – diritti d’autore e pena di morte – così come secondo il comunicato stampa “il potere dei mass media di trasmettere ideologie in un momento in cui la televisione via cavo stava cambiando il paradigma dei media”. Temi di impressionante attualità.

 

Philip Kennicott, editorialista del Washington Post, ha commentato: “Senza dubbio il museo avrebbe suscitato polemiche se fosse andato avanti con la proiezione, in parte da persone sinceramente turbate dalle immagini. Ma posticiparlo gioca un fondamentale fraintendimento su come opere come questa funzionano, un’occasione persa. Questo sarebbe il momento perfetto per il mondo dell’arte per affrontare la violenza armata.” Andrew Russeth di Artnews è intervenuto su Twitter: “Proiettarlo ogni notte fino a quando la legislazione sul controllo delle armi non sarà approvata e firmata in legge”.

 

E a noi ci sorgono domande, forse ovvie, ma proprio per questo necessarie: se l’artista dichiara che mostrare la sua opera equivale a una mancanza di rispetto verso le vittime e le loro famiglie, essendo quella di Cruz la diciottesima sparatoria dall’inizio dell’anno in un liceo statunitense (praticamente una media di due sparatorie ogni tre giorni scolastici), Wodiczko mostra però una certa noncuranza per un problema decisamente attuale.

 

In un successivo comunicato che annuncia che non si tratta più di una cancellazione come ma di un semplice rinvio (puritanesimo doc!), l’artista aggiunge: “La proiezione di trent’anni fa mi appare oggi stranamente familiare e al tempo stesso insopportabilmente rilevante. Più che mai, il significato dei nostri monumenti dipende dal nostro ruolo attivo nel trasformarli in siti di memoria e valutazione critica della storia, nonché luoghi di discorso e azione pubblici”. Quindi ci domandiamo: una responsabilità, quando non si rischia niente, non si trasforma in opportunismo?

 

Ora che George e Amal Clooney annunciano che finanzieranno “March for Our Lives” (gli Stati Uniti sono un paese fantastico), la manifestazione in favore di una restrizione della vendita di armi, ora che si marcerà per le strade di Washington, siamo curiosi di sapere se il corteo passerà davanti alla facciata muta dell’Hirshhorn Museum.

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