Veduta notturna del Duomo e del Battistero di Parma (Foto Filippo Aneli/Wikimedia)

Parma Capitale della cultura 2020 è come quel gol di Crespo contro la Juventus

Corrado Beldì

La scelta del Mibact non può che diventare un simbolo di rinascita nazionale e della città. È ancora più bello segnare una rete quando tutto sembrava perduto

L’ho capito da una piccola esultanza da stadio, come se Hernan Crespo avesse bucato ancora una volta la rete della Juventus, parlo del pareggio al novantaduesimo, col Parma in nove e i gobbi già convinti di aver espugnato il Tardini e invece erano alcuni imprenditori parmigiani seduti davanti a me alle Assise di Confindustria. Avevano ricevuto la notizia che alcuni aspettavano da mesi, Parma sarà capitale italiana del cultura nel 2020 ed erano felici. Lo sono anch’io perché so che l’euforia ha sempre a che fare con la disfatta e non era solo il Parma Calcio ad essere caduto in basso ma tutta la città, almeno nella percezione degli italiani, per le inchieste, la crisi economica, il debito e tanta stampa che hanno depresso quella che resta una delle città più belle e operose d’Italia.

 

 

Se per molti anni Parma è stata considerata malata, è bene sapere che questa candidatura parte anzitutto dalla riqualificazione dell’Ospedale Vecchio, un luogo di inaudita meraviglia, fondato da un filantropo teutonico nel 1201 e gestita per molti anni dal Consorzio dei vivi e dei morti, come dire un luogo che va oltre lo scorrere del tempo. Ci sono stato qualche mese fa per uno spettacolo mirabile e deprimente di Lenz Rifrazioni, una di quelle compagnie teatrali che a Parma continuano a lavorare, con pochi riflettori e tantissima sostanza. Insomma, è proprio vero che “la cultura batte il tempo”, leitmotiv della candidatura che ha unito alcune tra le forze migliori della città, come Festival Verdi dello Stiffelio di Graham Vick che vi ho raccontato su queste pagine ad ottobre e ora finalista tra le migliori produzioni europee dell’anno, la Pilotta che ogni mese apre una sala nuova e c’è moltissimo da scoprire, il labirinto di Franco Maria Ricci, sempre in bilico tra kitsch ed estrema bellezza e la meraviglia dell’Abbazia di Valserena con l’archivio e le mostre ma anche la musica contemporanea di Traiettorie al Farnese e poi la lunga ossessione di Roberto Bonati per i suoni del grande Nord.

 

Non citerò il cibo, ho il colesterolo fin troppo  alto a furia di culatelli, anolini, crudo, parmigiano e salami di Felino, preferisco gli angoli più segreti, la pinacoteca Stuard, la casa museo di Arturo Toscanini con una di quelle dediche dannunziane che solo a pensarci mi viene da piangere e poi i vicoli bui dove qualche volta ancora la nebbia si aggira e ci fa pensare ai piani sequenza di Bernardo Bertolucci, sono questi i dettagli che mi fanno pensare che questa scelta, non me ne vorrà la mia amica assessore a Casale Monferrato, non poteva che avvenire all’unanimità perché Parma, con Verdi e tutte le sue bellezze, non può che diventare un simbolo di rinascita nazionale ed è ancora più bello segnare una rete quando tutto sembrava perduto.