Oxford è diventata la Babilonia dell'ideologia

Giulio Meotti

Dai ritratti ai curricula. Nell’università più famosa al mondo vige la dittatura molle della diversity

Post-truth” è stata nel 2016 la parola dell’anno scelta dagli Oxford Dictionaries e rimpallata in tutto il mondo. Ma proprio l’Università di Oxford, che pubblica il celebre dizionario, sembra impegnata a dare un nuovo significato proprio alla “post-verità”.

 

Una serie di ritratti agiografici di ex studenti hanno fatto la loro comparsa nelle pareti della più celebre università anglosassone. L’iniziativa fa parte del progetto “Diversifying Portraiture” che Oxford ha adottato un anno fa. L’ateneo era stato criticato per “la mancanza di diversità razziale”. Così la giornalista Reeta Chakrabarti ha preso il posto di ex studenti bianchi in odore di “razzismo”. Entra la militante per i diritti dei disabili, Marie Tidball, assieme ad Amelia Gentleman e Hari Kunzru, due giornaliste e femministe che scrivono per il Guardian. C’è anche Libby Lane, la prima donna nominata vescovo della Chiesa d’Inghilterra e consacrata nel 2015.

 

Per la prima volta sono obbligatori i corsi contro il "razzismo istituzionale" e quelli di storia non occidentale

In nome del multiculturalmente corretto, via i “male pale and stale”, i maschi bianchi e vecchi. “Sì – commenta Naomi Wolf, giornalista, scrittrice femminista ed ex studentessa – perché quando camminavo per i prestigiosi corridoi e vedevo intorno a me solo ritratti di uomini bianchi appesi alle pareti mi era difficile immaginare di poter avere un posto nella storia”. Nelle stesse ore, Aung San Suu Kyi, leader della Birmania e laureata a Oxford, veniva privata dell’onore che le era stato concesso da Oxford, il “Freedom of the city”, a causa della sua risposta alla crisi dei musulmani Rohingya. Oxford ha concordato di non voler onorare “coloro che chiudono un occhio sulla violenza”. Un mese prima, il St Hugh’s College di Oxford aveva rimosso anche il ritratto di San Suu Kyi. Diplomata al St Hugh nel 1967, l’immagine del suo volto era appesa vicino all’ingresso principale del college dal 1999.

 

La seconda più antica università del mondo sta diventando una Babilonia ideologica prona all’espiazione del passato occidentale e devota al culto della diversity. Ma come ha sostenuto lo psicologo sociale Jonathan Haidt, proprio nel momento in cui le università sostengono la diversity come valore accademico – intendendo per “diversità” tutto ciò che è incluso sotto il termine “non discriminazione” – la vera diversità per cui un’università dovrebbe battersi e fare notizia, vale a dire la diversità di opinione e di idee, è stata costantemente erosa e in molti luoghi completamente distrutta. Oxford si avvia a essere uno di questi.

 

Per questo Alex Chalmers, studente di storia all’Università di Oxford, si era dimesso da presidente dell’Associazione studentesca laburista che a Oxford esiste dal 1919. Chalmers, che ebreo non è, si è dimesso con un gesto plateale di protesta contro quella che ha denunciato come una università piena di antisemiti, dicendo che “gran parte” dei membri della “sinistra” in facoltà ha “un qualche tipo di problema con gli ebrei” e sfoggia “tendenze intolleranti”. Secondo lo studente, a Oxford si “molestano gli studenti ebrei” e si “invitano oratori antisemiti”. Alla faccia della “diversity”. Roger Scruton in un articolo per il Times della scorsa settimana ha definito quanto sta accadendo a Oxford come un “indottrinamento senza dottrina”, il surrogato di una religione che non offre salvezza. Oxford si sente il centro assoluto dell’istruzione e della cultura mondiale, tanto da averlo scritto con grande modestia anche sul cartello della stazione. Ma per quasi un anno, l’università ha discusso se rimuovere il monumento di Cecil Rhodes presente nell’università (alla fine la statua è rimasta al suo posto, mentre la targa all’Oriel College è stata eliminata dalla vista degli studenti).

 

Censurati i dibattiti sull'aborto, ma diventano obbligatori i corsi di "consenso sessuale" su come approcciare una donna

A stimolare l’iniziativa dei dipinti è stato il movimento Rhodes Must Fall. Poi, dopo le statue e i dipinti, si è passati ai curricula. Malia Bouattia, a capo del potente sindacato inglese degli studenti, aveva denunciato che un curriculum “eurocentrico” aveva un impatto “psicologicamente devastante” sugli studenti inglesi di colore. Così qualche giorno fa un college di Oxford è diventato il primo nella storia a introdurre corsi obbligatori di “consapevolezza razziale” per garantire che le minoranze etniche non si sentano “offese”. Gli studenti del Magdalen College hanno votato per obbligare tutti i neofiti del primo anno a partecipare alle sessioni, intese a combattere il “razzismo istituzionale”, “l’appropriazione culturale” e il “pregiudizio implicito”. Oxford ha anche ceduto alle pressioni della campagna “Perché il mio curriculum è bianco?” contro il presunto “eurocentrismo” dell’insegnamento della storia. “L’educazione che riceviamo è stata ampiamente modellata dal colonialismo”, afferma la campagna sostenuta dall’Unione nazionale degli studenti. “E pone scrittori e pensatori bianchi eurocentrici al di sopra degli altri senza molta preoccupazione”.

 

L’Università di Oxford ha così imposto un esame obbligatorio centrato sulla storia africana, mediorientale, indiana e asiatica. Tra gli argomenti a disposizione degli studenti figurano il movimento per i diritti civili degli anni Sessanta negli Stati Uniti, l’indipendenza indiana, la conquista spagnola del Messico e lo sviluppo del Giappone moderno. E poi figure come Martin Luther King, Malcolm X e il Mahatma Gandhi. Poco prima, per la prima volta in ottocento anni di storia, l’Università di Oxford aveva deciso di eliminare l’obbligatorietà del cristianesimo dai corsi di teologia. Troppo eurocentrico e occidentalista pure questo. Come ha detto lo storico Johannes Zachhuber, “la gente che studia a Oxford, proviene da realtà differenti e legittimamente ha diversi interessi”.

 

Secolarizzazione rampante e politicamente corretto, un mix letale. Al posto di San Tommaso spazio dunque ai corsi di “Femminismo della teologia e della religione”, “Islam nel periodo classico” e “Buddismo nello spazio e nel tempo”. Benjamin Thompson, illustre professore medievista e coordinatore dei corsi di Storia a Oxford definisce “molto interessante questa ‘decolonizzazione’ del programma di studi”.

 

Eccola la parola magica uscita da Oxford: decolonizzare. Così, qualche settimana fa, è arrivato l’annuncio che i professori di Letteratura inglese dell’Università di Cambridge potrebbero sostituire gli autori bianchi con gli scrittori neri, facendo seguito alle proposte avanzate dal personale accademico in risposta alle richieste degli studenti di “decolonizzare” il curriculum. La mossa segue una lettera aperta, scritta da Lola Olufemi, funzionario femminile del sindacato studentesco dell’Università di Cambridge, intitolata “Decolonising the English Faculty”. Gill Evans, professoressa emerita di Teologia medievale e Storia intellettuale di Cambridge, ha chiesto: “Si smetterà di insegnare la storia occidentale o europea e la letteratura? Se mutili il contenuto dei programmi di storia e letteratura per inserire una quota statisticamente diversa, o uguale, di materiale da altre culture, perderai di vista la verità storica che l’occidente ha esplorato il mondo dal XVI secolo e ha preso il controllo di gran parte di esso. Far finta che non sia mai successo è ridicolo”.

 

Alla facoltà di Teologia non è più obbligatorio il corso di cristianesimo. Non era mai successo in 800 anni

Questa ondata spaventosa da sussidiario antirazzismo vorrebbe rimodellare anche le abitudini private degli studenti. Così l’Unità uguaglianza e diversità di Oxford, che monitora il costante rispetto dei canoni dell’antirazzismo, ha stabilito che non guardare negli occhi uno studente che appartiene alle minoranze costituisce “microaggressione” che può portare a un “disordine mentale”. Joanna Williams, docente universitaria presso l’Università del Kent, ha affermato che la decisione di Oxford è “del tutto ridicola” e renderà gli studenti “ipersensibili” sul modo in cui interagiscono tra di loro. “Essenzialmente le persone vengono accusate di un reato di pensiero”, ha detto la Williams al Telegraph, quando si dice agli studenti “come dovrebbero sentirsi e pensare”. E parlare.

 

Anche l’Oxford Dictionary, il più completo catalogo di parole mai scritte in qualsiasi lingua, è stato purgato di alcune parole. Il dizionario è finito sotto la pressione delle femministe, insofferenti che alla voce che le descrive ci siano anche connotazioni tipo “rabid”, rabbiose. Così sull’Oxford Dictionary è piovuta l’accusa di “sessismo”. Contattato dal Guardian, l’Oxford Dictionary ha scritto: “Ci scusiamo per l’offesa che questi commenti hanno causato. Le frasi che usiamo sono prese da una grande varietà di fonti diverse e non rappresentano il punto di vista o le opinioni di Oxford University Press. Detto questo, ora rivedremo le frasi”.

 

Buona parte delle campagne che stanno mettendo sottosopra Oxford arrivano dagli studenti, che hanno assunto un peso ricattatorio senza precedenti. Ogni anno, le matricole sognano un idilliaco campus liberal dove tutti riconoscono Ernest Hemingway come un “appropriatore culturale”. Nulla simboleggia questo fenomeno meglio del “Cuntry Living”, il gruppo di femministe su Facebook più famoso dell’Università di Oxford. Quasi undicimila persone appartengono a questa comunità digitale. “Uno spazio online in cui possiamo sfidare il patriarcato e condividere le nostre esperienze di oppressione”, recita. Cuntry deriva da “cunt”, brutale espressione inglese per vagina. Il loro potere sull’ateneo è spaventoso.

 

Poche settimane fa, Oxford ha così bandito l’Unione cristiana, una delle più grandi associazioni studentesche, dall’annuale fiera delle matricole perché la fede cristiana “procura danno” dal momento che storicamente è stata come “una scusante per l’omofobia e certe forme di neocolonialismo.” Freddy Potts, vicepresidente del comitato universitari, ha perciò scritto una mail alla rappresentante della Uc, Lucy Talbot, spiegando che: “La nostra unica preoccupazione è che la vostra presenza possa estraniare i nuovi studenti. Questo tipo di alienazione o micro-aggressione è regolarmente ignorata come poco importante, specialmente quando non viene compresa bene dagli altri studenti, e inevitabilmente causa un ulteriore danno a quei gruppi che sono già i più vulnerabili e marginalizzati”.

 

“A Gesù Cristo, e ad altri ‘estremisti nonviolenti’, sarebbe vietato parlare nelle università se fossero vivi nel 2016”. A dirlo è proprio un super professore di Oxford, Timothy Garton Ash, che ha lamentato il fatto che la Gran Bretagna è diventata “troppo debole” per sostenere la libertà di parola.

 

I gruppi cristiani sono stati banditi dall'annuale fiera delle matricole. Erano in odore di "omofobia" e "colonialismo"

A Oxford hanno anche censurato un dibattito sull’aborto. Obbligatorio invece il corso su come un uomo dovrebbe approcciarsi a una donna in maniera corretta. Per circa cinque anni, l’Università di Oxford ha offerto questi workshop, ma per le matricola del 2016 le lezioni sul “consenso sessuale” sono diventate “obbligatorie. Lo scorso settembre, la professoressa Louise Richardson, vice rettore di Oxford, ha provocato un putiferio quando ha detto che gli studenti arrabbiati con i loro professori per aver espresso opinioni eterodosse sulla morale sessuale dovrebbero “sfidarli”, piuttosto che denunciarli alle autorità universitarie. “L’educazione non significa essere a proprio agio”, ha detto la Richardson. “Se non ti piacciono le opinioni, le sfidi, cerchi di persuaderlo a cambiare idea, è difficile, ma è assolutamente quello che dobbiamo fare”. Il giorno dopo, agli studenti di Oxford che si sono sentiti offesi è stato offerto un “sostegno emotivo” da parte del loro sindacato studentesco.

 

Il sindacato studentesco dell’ateneo ha anche realizzato un opuscolo con il quale incoraggia gli studenti a utilizzare, piuttosto che “he” or “she”, lui e lei, una forma neutra di pronome: “ze”, alternativo al maschile e femminile. Questo per venire incontro agli studenti gendericamente non identificabili. Gli stessi però non hanno mai trovato nulla da obiettare sul fatto che, fra i docenti arruolati da Oxford, ci fosse un islamologo come Tariq Ramadan, che quanto a “morale sessuale”, lapidazione ed esibizione del corpo, avrebbe qualcosa da insegnare ai fiocchi di neve della facoltà.

 

Forse c’è un motivo se il grande Philip Larkin rifiutò di insegnare a Oxford, ritenendo che l’“inferno in terra” consistesse nel bere sherry coi docenti di quella università. Nella lettera che scrisse all’amica di Oxford Rachel Trickett, Larkin chiese di non essere nominato professore di poesia e che avrebbe preferito essere morto. “La mia idea dell’inferno sulla terra… è una festa letteraria”. In nome della diversity.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.