Cartoni per grandi e piccini

Eugenio Cau

I bambini di oggi sono i più fortunati: hanno i cartoni animati più belli della storia. Ma non solo. Una nuova generazione di autori ha liberato l’animazione, che ora è una cosa anche per adulti

C’è stato un momento, a metà tra la Pixar e Miyazaki, in cui qualcosa si è risvegliato nell’animazione mondiale, specie americana. Non parliamo della grande animazione cinematografica, quella appunto della Pixar e del maestro giapponese Hayao Miyazaki, ma di quella più umile, a puntate, che i ragazzi guardano in tv dopo la scuola e a merenda, quella che è chiamata “l’ora dei cartoni” e che non ha mai avuto la stessa dignità artistica dei “film d’animazione”. Prima di iniziare, un avvertimento. Questa pagina parla di cartoni animati, e in buona parte di cartoni animati “per ragazzi”. Se l’ultimo cartone animato che avete visto nella vostra vita è stato “Candy Candy”, o se magari avete qualche anno in meno e il vostro ultimo è stato “Dragon Ball”, rimanete a leggere. Mentre voi passavate alle produzioni per adulti e vi appassionavate a “Breaking Bad”, nel mondo dell’animazione c’è stata una rivoluzione, e i divertimenti nostalgici dell’infanzia vi appariranno improvvisamente miserabili. La tesi che qui vogliamo sostenere è questa: dal punto di vista dell’intrattenimento televisivo, i bambini e i ragazzi di oggi sono i più fortunati della storia recente perché mai prima d’ora i cartoni animati sono stati così belli. Non solo. Se questa pagina farà la sua funzione, alla fine verrà voglia anche a voi di iniziare una serie tv animata.

 

I bambini degli anni Novanta, cresciuti guardando i "Simpson", hanno capito che i cartoni animati possono essere show a tutto tondo

Ricordiamoci com’erano i cartoni animati fino a pochi anni fa. Si dividevano di solito in cartoni per bambini maschi (quelli con i robot giapponesi o i supereroi, diciamo), cartoni per bambine femmine (telenovelas in formato animato, da “Candy Candy” in giù) e un grosso gruppone unisex in cui navigavano i format per bambini molto piccoli (i Puffi, per esempio) o le animazioni di Hanna e Barbera. Erano prodotti più o meno ben fatti, ma con limiti eccezionali – di trama, di valore artistico, di profondità nella scrittura dei personaggi. Oggi molti di noi ricordano questi cartoni animati con nostalgia, ma ammettiamolo: nessuno sano di mente si rimetterebbe a guardare “Candy Candy” in età adulta – e se anche ci provasse, avrebbe ottenuto come unico obiettivo quello di aver rovinato una memoria felice dell’infanzia. I cartoni animati “vecchi” hanno questo gigantesco problema: trattandosi di prodotti fatti per tenere buoni i bambini davanti alla tv mentre i genitori fanno altro, non reggono alla prova del tempo o, meglio, non reggono alla prova dell’età adulta.

 

A un certo punto però questa cosa è cambiata, i cartoni animati hanno iniziato a mutare pelle e sono diventati degli show televisivi a tutto tondo. In occidente, questo fenomeno è iniziato con i “Simpson”. Certo, i “Simpson” sono (anzi, erano, vista la loro normalizzazione negli ultimi 15 anni) una bestia strana: una sit-com animata che usava la libertà creativa del mezzo per smontare i cliché del genere sit-com e le idiosincrasie della middle class americana. I primi “Simpson” erano pungenti, geniali e avevano una qualità senza precedenti in occidente: reggevano alla prova dell’età adulta. Lo show era strutturato su infiniti livelli e aveva molte chiavi di lettura. Un ragazzino di 12 anni e un uomo di 40 avrebbero potuto sedersi sullo stesso divano a guardare i “Simpson” insieme. Entrambi avrebbero riso ed entrambi avrebbero tratto qualcosa dalla puntata.

 

E' appena uscita su Netflix una nuova stagione di "Rick and Morty", che è meglio del 99 per cento degli ultimi film di fantascienza

Questa è una storia già raccontata. Non è un caso che i “Simpson” siano il miglior show tv degli anni Novanta (spiacenti, fan di “Seinfeld”). Il fatto è che i “Simpson” (e tutto quello che è venuto dopo, dai “Griffin” a “South Park”) hanno piantato un seme. Per la prima volta nella storia della tv, una generazione (diciamo quella nata all’inizio degli anni Ottanta) è cresciuta pensando che i cartoni animati non sono quella-cosa-che-smetti-di-guardare-quando-diventi-grande, ma un genere dotato di dignità artistica e creativa, che non solo funzionava bene quanto gli altri, ma concedeva molta più libertà. Alcuni di questi ragazzini che (presumibilmente) guardavano i “Simpson” negli anni Ottanta hanno poi prodotto cartoni animati che erano show televisivi a tutto tondo. Ma se i “Simpson” si erano appropriati di un genere conosciuto (la sit-com), la nuova generazione di autori ha rinnovato definitivamente il mezzo, creando generi e stilemi tutti nuovi.

 

Prendete Pendleton Ward, classe 1982. Ward aveva 7 anni quando è andata in onda la prima puntata dei “Simpson” (dicembre 1989) e ha vissuto tutta la nuova ondata dei cartoni animati che piacciono anche agli adulti. Raggiunta una certa maturità creativa, nel 2010 ha creato “Adventure Time”. Lo show è eccezionalmente noto. Va avanti da molte stagioni (la nona, che è iniziata la scorsa primavera e finirà l’anno prossimo, sarà l’ultima), ha ricevuto sette Emmy e infiniti altri premi, il suo merchandising è dappertutto. All’apparenza, “Adventure Time” è un cartone animato tradizionale in cui un ragazzino di nome Finn e il suo cane giallo parlante di nome Jake abitano in una grande casa su un albero e vanno in giro per un mondo fatato a cercare tesori e a vivere avventure. Tra gli altri personaggi ci sono Principessa Gommarosa, che governa su un mondo di caramelle parlanti, una ragazza-vampiro, il goffo e comico re di una montagna ghiacciata. Tutto molto favolistico, no? La dichiarazione d’intenti di “Adventure Time” è paradossalmente molto più “normale” di quella dei “Simpson”.

 

Ma le cose si complicano. La dolce Principessa Gommarosa è una maniaca del controllo che spia i suoi sudditi. Re Ghiaccio, il personaggio più comico della serie, mostra lati tragici della sua personalità. Il giovane protagonista Finn è spesso tormentato. Il mondo fatato in cui agiscono i personaggi non è un universo di fiaba, ma la Terra ripopolata dopo un’Apocalisse nucleare. L’umorismo di tutto lo show assume toni a volte drammatici, a volte di ricerca esistenziale, a volte di analisi psicologica e la sua struttura diventa più profonda di stagione in stagione, con rimandi, salti temporali, diverse linee narrative che si incrociano – il tutto senza perdere la levità di uno show per ragazzi. Insomma, se i “Simpson” erano una satira, “Adventure Time” è una favola fantasy, ma nonostante questo mantiene la medesima capacità di resistere alla prova dell’età adulta. La serie è bella a tutte le età, e se non ci credete leggete Emily Nussbaum, la rispettata critica del New Yorker, che nel 2014 ha esaltato “Adventure Time” come uno degli show “filosoficamente più rischiosi ed emozionalmente più efficaci della televisione” – e si noti: di tutta la televisione, non del mondo ristretto dell’animazione. E questo senza contare il fattore estetico e l’immaginario, che fanno dire a Nussbaum che “Adventure Time” è la “‘Mulholland Drive’ della tv per ragazzi”.

 

Un passo simile lo adotta “Steven Universe”, un altro cartone animato che parte da premesse ed estetica fantasy e infantili per poi svilupparsi in uno show strepitoso sulla difficoltà di diventare adulti, la complessità delle relazioni umane, perfino la paura della morte. Anche qui: pur trattandosi di uno show per ragazzi, “Steven Universe” è godibilissimo anche per un adulto. Ha ricevuto tre nomination agli Emmy, ma non ne ha ancora vinto nessuno.

 

Il fenomeno più recente di questa new wave dell’animazione è “Rick and Morty”, la cui terza stagione è stata pubblicata in Italia su Netflix giusto questa settimana. I suoi creatori sono Justin Roiland, classe 1980, e Dan Harmon, classe 1973. E’ un prodotto un po’ diverso da quelli citati finora. Se “Adventure Time” può essere visto anche da un bimbo delle elementari, per “Rick and Morty” è meglio aspettare che il bimbo abbia finito le medie. E’ uno show per adulti e per ragazzi grandi, e infatti è messo in onda in America da Adult Swim, il canale per adulti di Cartoon Network (anche il fatto stesso che Adult Swim esista dice moltissimo sull’evoluzione dell’animazione occidentale). “Rick and Morty” prende lontanamente ispirazione da “Ritorno al futuro”: lo scienziato pazzo e uomo più intelligente dell’universo, Rick, e suo nipote timido e un po’ tardo, Morty, viaggiano nel tempo e tra le varie dimensioni vivendo avventure improbabili e divertenti tra alieni, pianeti e criminali intergalattici. Qui la moltiplicazione dei piani su cui si sviluppano la storia e i personaggi è brutale e immediata. Rick ha un carattere aggressivo, cinico, un po’ misantropo. Non rispetta nessuna scala di valori, nemmeno la più elementare. Rutta mentre parla, è quasi sempre ubriaco e dice un improperio ogni frase. Morty è un bambino perennemente traumatizzato da suo nonno, che risponde ai traumi in maniere sempre comiche, ma capaci di mettere a disagio lo spettatore. Qui i temi della morte, della dissoluzione della famiglia, del timore di non aver dato un senso alla propria vita sono trattati con ferocia, e l’animazione diventa un mezzo per mascherare con l’assurdo questioni che altrimenti sarebbero troppo terribili da mostrare.

 

Per capire se un cartone animato è bello, c'è il test dell'età adulta. Ora che siete grandi riguardereste "Candy Candy"?"

Ma “Rick and Morty” è speciale per l’audacia narrativa. Su questo sentite David Benioff e D.B. Weiss, che sono i creatori di “Game of Thrones”, dunque ben titolati a parlare di come si fa la televisione, dall’alto dei loro 38 Emmy. Nel 2016, in un’intervista al magazine Deadline, hanno detto anzitutto che “Adventure Time” è “probabilmente la migliore serie tv mai prodotta”, e fin qui ci siamo. Poi hanno aggiunto che “‘Rick and Morty’ è una delle cose più divertenti e intelligenti mai andate in tv; ciascuno dei suoi episodi da 22 minuti è più ambizioso del 99 per cento dei film di fantascienza girato negli ultimi dieci anni”. Contando che siamo in un periodo di grande rinascita del genere fantascientifico, il complimento è notevole. In “Rick and Morty” c’è più fisica quantistica che in un manuale del liceo, la teoria del multiverso è portata alle sue estreme conseguenze fino a diventare un elemento portante della trama. Dal fatto che esistono infinite dimensioni, e dunque infiniti Rick e infiniti Morty e infiniti mondi che lo scienziato pazzo può manipolare a piacimento, nascono trovate spettacolari – come dicono Benioff e Weiss, ciascuna puntata potrebbe essere la base di partenza per un grande film di fantascienza.

 

Qui il mezzo della serie tv a cartoni animati è portato alle conseguenze più estreme e spiazzanti, e fa ben sperare per il futuro. Perché quella a cui abbiamo assistito negli ultimi anni è, alla fine, la liberazione del cartone animato. In Giappone, dove l’animazione ha una tradizione molto più nobile, questo è già avvenuto, e gli adulti non si vergognano di dichiararsi fan di una serie di animazione. In occidente ancora si fatica a pensare che il cartone animato è un genere che ha tante potenzialità quante tutti gli altri, anzi di più: pochi show hanno la capacità di essere così eccezionalmente trasversali come quelli che abbiamo citato, e come molti altri che non c’è tempo di menzionare.

 

“'Adventure Time' è la 'Mulholland Drive' della tv per ragazzi”, ha scritto Emily Nussbaum sul New Yorker

Una nuova generazione di autori ha fatto molto, ma un altro contributo fondamentale viene dai nuovi modi di fruizione della tv. Qui siamo pronti a scommettere che nessuna rete televisiva italiana avrebbe il coraggio di distribuire “Rick and Morty”: troppo ibrido da piazzare, inadatto sia tra i canali per bambini sia tra i quiz tutti uguali dei canali per adulti. Ma per fortuna c’è Netflix, che non ha problemi di palinsesto. Succede così con molte altre serie animate, per esempio "Bojack Horseman", creazione di Raphael Matthew Bob-Waksberg, classe 1984: una satira di Hollywood con gli animali al posto delle persone, in cui c’è tutto Weinstein prima di Weinstein, e molto di più. Questo è un cartone interamente per adulti. E’ bellissimo, guardatelo.

 

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.