Volevo essere un'astrofisica. "Due donne ai raggi X", storia per non-principesse

Marianna Rizzini

Un monologo e un libro di Gabriella Greison (oggi a teatro)

Roma. “Non voglio essere una principessa, voglio fare l’astrofisica”, dice la maglietta che da qualche anno va a ruba nei negozi per bambini online. E però c’è qualcuno che ha già messo in pratica l’assunto. Il qualcuno (qualcuna) si chiama Gabriella Greison, fisica e scrittrice quarantenne che stasera porta in teatro, alla Sala Umberto di Roma, il monologo “Due donne ai Raggi X. Marie Curie e Hedie Lamarr, ve le racconto io”, scritto con il regista Giampiero Cicciò.

 

La storia è questa: negli ultimi due anni Greison, già giornalista, è diventata un caso sul web e sulla scena off. Il suo “Monologo quantistico”, precedente spettacolo teatrale tratto dal libro “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, ed. Salani, infatti, ha cominciato a girare per piccoli festival e librerie di quartiere un paio di estati fa, in sordina, per poi passare ai palchi tradizionali, dove ogni volta fa il tutto esaurito. Nel monologo si parte da una foto dell’ottobre 1927 che ritrae i più famosi fisici dell’epoca, riunitisi a Bruxelles per il V congresso Solvay, e si arriva a mettere a fuoco discorsi, tic, idee, idiosincrasie di gente che di nome faceva Einstein, Bohr, Langevin, Bragg, Curie, visti nella loro normale follia e nel bel mezzo dello scontro tra tradizionalisti – convinti che l’atomo non avesse più segreti – e precursori del futuro. Ma il punto è il “come” la storia viene raccontata: Greison sale sul palco, cita Einsten, fa Einstein, poi fa il suo rivale, poi prende un trenino, fa esperimenti, poi mette in scena (da sola, ma come sedendosi al posto di tutti i commensali) la cena dei fisici in abito da sera, ed evoca, rivela, si diverte, si preoccupa e insomma rende la fisica – materia da incubo per molti – canovaccio da romanzo e storia vera da approfondire.

 

Adesso Greison, sempre a partire da quella foto del 1927, che l’ha ossessionata fin dagli anni dell’università, quando si chiedeva come mai ogni professore tenesse appesa nello studio quell’immagine che ritraeva due file di scienziati, alcuni spettinati, altri meno, parte dall’unica donna ritratta, Marie Curie, premio Nobel e simbolo di ogni discorso sulla parità dei sessi (una che faceva un lavoro da uomo quando il femminismo non c’era). Ma Curie (di cui oggi ricorre il 150esimo anniversario dalla nascita) a un certo punto della vita fa emergere un’altra parte di sé – parte contraddittoria da nascondere al mondo per difendere la se stessa del successo scientifico. Ed è proprio in questa luce di fragilità che, nel monologo, Curie è messa a confronto con una che poteva benissimo essere principessa a tutti gli effetti, Hedy Lamarr, regina di Hollywood che aveva abbandonato gli studi di Fisica per la carriera di attrice ma che poi era tornata indietro, affrontando la vecchiaia come opportunità, tirando fuori “la forza del carattere” di cui parla lo psicoanalista James Hillman.

 

Anche in questo caso il monologo si accompagna a un libro, anzi a due libri, ora in libreria: “Sei donne che hanno cambiato il mondo” (ed. Bollati Boringhieri) e “Superdonne, venti favole su venti scienziate” (ed. Salani). “Il tema è il cambiamento”, dice Greison: “Curie, due volte premio Nobel, e Lamarr, inventrice del wireless, mostrano in due momenti particolari della loro vita paure che mi sono sembrate modernissime e che parlavano in qualche modo alle mie paure”. E infatti la prima storia di cambiamento è la sua: a metà degli anni Duemila chi incontrava Gabriella Greison, allora giornalista, nel giro di pochissimo apprendeva che la medesima aveva un passato a dir poco strano per l’ambiente. Laureata in Fisica nucleare, specializzata all’Ecole Politecnique di Parigi, con anni di insegnamento nei licei alle spalle, sembrava aver messo gli studi scientifici nel cassetto delle stranezze di gioventù. Invece è stata la scienza rimossa a tornare a galla, per trasformare Greison in non-principessa-astrofisica con sito a tema (www. GreisonAnatomy.com). Al monologo seguirà un tour e, sempre a partire dalla foto del 1927, un altro monologo, ma su un uomo: Niels Bohr, “rivale” di Einstein di stanza a Copenhagen.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.