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Le parole dementi della politica. E se non confermano Visco sarà "uno stupro"?

Maurizio Crippa

"Violenza", "fascismo", "golpe". Parole grosse e vuoto di idee

"Auspico che in Senato sulla legge elettorale si eviti la fiducia, sarebbe un errore gravissimo, una vera violenza in Parlamento”. Lo ha detto Roberto Speranza, e potreste dire “eh vabbè”. Lo ha detto a “Circo Massimo”, e il bravo Giannini avrebbe dovuto replicare: onorevole, ma che sta a di’? Solo che ormai vale tutto, le parole in politica non hanno più peso specifico, probabilmente è anche colpa dell’incapienza argomentativa di chi le usa. Così che dire “violenza” per intendere “mozione di fiducia” è un salto da circo equestre, più che Massimo. Violenza in Parlamento evoca i fieri manipoli e l’Aula sorda e grigia. O almeno il capitano Tejero. E’ un salto nella semantica del vuoto. Per dire, Sergio Mattarella, presidente dal bel lessico doroteo, si è limitato a un “atto disumano” rivolto ai tifosi laziali per Anna Frank. Avrebbe potuto dire “io li odio, i nazisti di Formello”, e sarebbe stato perfettamente ton sur ton. Ma se persino il forbito e biforcuto Max D’Alema sulla legge elettorale dice “a mettere la fiducia su una questione del genere fu il fascismo”, vedete che l’iperbole dei fieri manipoli è ormai passata sottopelle. Come un chip dei cinque stelle.

 

Più è vuoto il ragionamento, più è destituita di fondamento la sostanza politica, più le parole esorbitano, evocano il turpe e il truce, senza più attinenza con la realtà.

 

Per Travaglio nel Rosatellum c’è “un ricatto sotterraneo”, del tipo “o la voti o non ti ricandidi” e il sottinteso è che Renzi è come Weinstein. E una legge che ai tempi eleganti di Scelba i nemici avrebbero liquidato come “abborracciata”, o al massimo “truffa”, nel giro di un nanosecondo diventa “Fascistellum” e i promotori “dei fascistelli”.

 

“Pretentious diction”. Era il 1968 e George Orwell in un celebre articolo citava parole come “phenomenon, primary, inexorable, epic” e altre dozzine di iperboli fuori luogo per rivestire dichiarazioni normali di un’aria importante. Ma erano ancora tempi in cui si parlava bene: “Polite” per gli anglofoni, “pulito”, da noi. Ora, forse per effetto del linguaggio di Trump così sempre in altalena tra l’infantile e il pop, per il quale tutto è quantomeno “tremandous”, anche in America tutto quello che accade e non piace diventa un “total disaster”. Che poi quando gli va a fuoco la California, o gli sparerà un petardone Kim, non avranno più le parole per dirlo. Ma il linguaggio precede il pensiero. La stupidità aggressiva ha fatto un golpe, contro il pensiero. Così che una mozione parlamentare su Bankitalia diventa, appunto, “un golpe”. E se venerdì non riconfermano Visco non sarà una scelta istituzionale ma, come direbbe Asia Argento, “uno stupro”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"